САНКТ-ПЕТЕРБУРГСКИЙ ГОСУДАРСТВЕННЫЙ УНИВЕРСИТЕТ
Филологический факультет
Кафедра романской филологии
Громыко Мария Дмитриевна
ПРОБЛЕМА ПЕРЕВОДА ДИАЛЕКТА В СОВРЕМЕННОМ ИТАЛЬЯНСКОМ
КИНЕМАТОГРАФЕ
(НА МАТЕРИАЛЕ ФИЛЬМА ДЖ. ТОРНАТОРЕ «БААРИЯ»)
Выпускная квалификационная работа на соискание степени магистра
лингвистики
Научный руководитель: к.ф.н., доцент Кокошкина С.А.
Рецензент: к.ф.н. Блохина Н.В.
Санкт-Петербург
2016
UNIVERSITÀ STATALE DI SAN PIETROBURGO
Facoltà di lettere
Dipartimento di filologia romanza
Mariia Gromyko
LA TRADUZIONE DEL DIALETTO NEL CINEMA ITALIANO
CONTEMPORANEO: IL FILM BAARIA DI GIUSEPPE TORNATORE
Tesi di laurea magistrale
Relatore: prof. S. Kokoshkina
Correlatore: prof. N. Blochina
San Pietroburgo
2016
INDICE
INDICE ...................................................................................................................... 3
INTRODUZIONE .................................................................................................... 5
CAPITOLO 1. LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA ............................................ 8
1.1. NOZIONI FONDAMENTALI ........................................................................ 8
1.1.1. Il parlato filmico .................................................................................... 8
1.1.2. La traduzione audiovisiva ................................................................... 11
1.2. TIPI DI TRADUZIONE AUDIOVISIVA ..................................................... 15
1.2.1. La sottotitolazione ............................................................................... 15
1.2.2. Il doppiaggio........................................................................................ 16
1.3. LE PARTICOLARITÀ DELLA TRADUZIONE AUDIOVISIVA.............. 18
CAPITOLO 2. IL DIALETTO E IL CINEMA ITALIANO: UN RAPPORTO
COMPLESSO ......................................................................................................... 22
2.1. IL REPERTORIO LINGUISTICO ITALIANO ............................................ 22
2.2. IL DIALETTO SICILIANO .......................................................................... 26
2.3. L’IMPIEGO DEL DIALETTO NEL CINEMA ITALIANO: DAGLI
ESORDI A OGGI ................................................................................................. 28
CAPITOLO 3. IL TRASFERIMENTO LINGUISTICO E CULTURALE DEL
DIALETTO NEL FILM BAARÌA DI G. TORNATORE ................................... 34
3.1. LA METODOLOGIA DELLA RICERCA ................................................... 34
3.2. LA FISIONOMIA LINGUISTICA DEL FILM BAARÌA DI G.
TORNATORE....................................................................................................... 37
3.3. LA TRADUZIONE DELLA SICILIANITÀ NEL FILM BAARÌA DI G.
TORNATORE....................................................................................................... 40
3.3.1. La traduzione del titolo del film .......................................................... 40
3.3.2. La trasposizione del repertorio linguistico ......................................... 43
3
3.3.3. La traduzione delle variazioni fonetiche ............................................. 49
3.3.4. La traduzione della grammatica dialettale ......................................... 52
3.3.5. La traduzione del lessico dialettale ..................................................... 57
CONCLUSIONI ..................................................................................................... 68
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................... 72
SITOGRAFIA ......................................................................................................... 77
4
INTRODUZIONE
Non è possibile immaginare la vita di oggi senza le tecnologie che
letteralmente ci circondano. Grazie a esse ogni giorno incontriamo un numero
incredibile di spot pubblicitari, corto- e lungometraggi e non sempre ci rendiamo
conto che almeno la metà di essi è il risultato di un lavoro duro di traduzione. Così,
per esempio, possiamo guardare un film americano e capire tutto, comprese le
barzellette ed altre questioni socioculturali, anche se non padroneggiamo in modo
abbastanza fluente l’inglese. Tutto questo diventa possibile dopo un lungo lavoro di
adattamento o trasferimento linguistico-culturale, che viene fatto dalle compagnie
cinematografiche per lanciare un film sul mercato straniero. Il compito del
traduttore risulta quindi estremamente difficile. Questi deve veicolare un testo che
contiene non solo elementi verbali ma anche extra-verbali, inseparabili per di più
dalle immagini e suoni.
A tal punto il transito da un sistema linguistico (di partenza) ad un altro
sistema linguistico (di arrivo) all’interno di un’opera cinematografica è sempre un
processo complicato. Esso diventa ancora più delicato quando il film contiene
componenti dialettali.
Il presente elaborato si occupa quindi della questione della traduzione
audiovisiva, focalizzandosi sulla realtà italiana che presenta molte particolarità e
difficoltà, dovute alle numerose varietà diatopiche parlate in tutto il territorio
nazionale. Si prendono in esame le problematiche traduttologiche connesse
all’utilizzo del dialetto nel film Baarìa (2009) di Giuseppe Tornatore proposto in
Italia in due versioni: quella siciliana (proiettata soprattutto in Sicilia) e quella
doppiata in italiano dagli stessi attori per il resto del paese. L’oggetto di confronto
sono quindi i dialoghi originali in siciliano stretto e la loro traduzione nelle versioni
italiana e russa. La ricerca si basa anche sulla sceneggiatura dell’opera, scritta da
Tornatore e edita da Sellerio (2009) dopo l’uscita della pellicola come libro
autonomo, che trascrive però in modo fedele tutte le battute.
5
L’obbiettivo della ricerca è stabilire attraverso l’analisi delle scelte traduttive
se il dialetto e la sicilianità che esso incarna in Baarià possono essere “trasferiti” in
una qualche misura nelle traduzioni. Partiamo dal presupposto che la suddetta
varietà dialettale abbia una funzione cruciale nei dialoghi del film, trattandosi di un
aspetto essenziale dell’identità degli isolani. L’ipotesi da verificare è che il
doppiaggio italiano riesca a trasmettere, seppur non completamente, questo
fenomeno, mentre il doppiaggio russo neutralizza quasi del tutto il colorito
linguistico della lingua di partenza.
L’elaborato si suddivide in tre capitoli. Il primo capitolo, partendo da ricerche
specifiche russe e italiane, fornisce le fondamenta della traduzione audiovisiva
(TAV) – una disciplina assai giovane all’interno della teoria della traduzione. Si
delinea innanzitutto la natura complicata del parlato filmico, ovvero l’insieme delle
battute del film; si passa poi ai tipi e alle particolarità della TAV, soffermandosi in
special modo sul doppiaggio e sul sottotitolaggio – le tecniche più diffuse in Russia
e in Italia – che mettiamo qui a confronto.
Il secondo capitolo propone un breve excursus nel repertorio linguistico
dell’Italia con maggior attenzione alle nozioni di “dialetto” e “italiano regionale”,
per capire meglio le ragioni per cui i film prodotti in Italia non contengono solo
l’italiano standard. Dopodiché si approfondiscono le caratteristiche principali del
dialetto siciliano – l’idioma originario di Baarìa. Infine, presentiamo una
prospettiva storica sull’impiego del dialetto nel cinema italiano dagli esordi a oggi,
e questo ci servirà per tracciare un rapporto fra l’opera di Tornatore, le sue scelte
linguistiche e la tradizione cinematografica italiana.
Il terzo capitolo analizza le trasformazioni traduttive per la trasposizione
linguistica e culturale del dialetto siciliano e della sicilianità in genere fatte nelle
versioni doppiate italiana e russa di Baarìa. Dopo aver esplicitato la metodologia
usata nel corso di lavoro, presentiamo la fisionomia linguistica del film per capire
quale posizione occupa il dialetto siciliano nell’opera studiata e perché è così
importante nell’economia di questo film. Successivamente si passa ai casi concreti
in cui la traduzione mantiene o neutralizza il dialetto del doppiaggio originario.
6
L’analisi riguarda gli aspetti fonetico-fonologico, grammaticale e lessicologico del
dialetto.
Nella conclusione ricapitoliamo il lavoro svolto, fornendo delle riflessioni
personali sui risultati ottenuti nelle diverse fasi della ricerca, nonché sull’ipotesi da
cui ci siamo partiti.
7
CAPITOLO 1. LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA
Nel presente capitolo cercheremo di chiarire alcuni termini chiave e procedure
della traduzione audiovisiva. In primo luogo esamineremo la natura del parlato
filmico (par. 1.1.1) – una nozione fondamentale per la nostra ricerca. Dopodiché
forniremo la definizione di traduzione audiovisiva e delineeremo quale posizione
essa rivesta in Russia e in Italia (par. 1.1.2), per passare poi ad elencare le sue
metodologie (par. 1.2). Ci soffermeremo in modo particolare sulla sottotitolazione
(1.2.1) e sul doppiaggio (1.2.3) – le tecniche più diffuse nei paesi di nostro
interesse. Infine, descriveremo le particolarità del processo della traduzione
audiovisiva (1.3).
1.1. NOZIONI FONDAMENTALI
1.1.1. Il parlato filmico
Qualsiasi traduzione ha come oggetto un testo. Nella traduzione audiovisiva
abbiamo a che fare con il testo audiovisivo, raffigurante «una tipologia testuale a sé
stante, la cui globalità è generata dalla combinazione di diverse componenti
semiotiche» (Perego 2005: 8): della componente sonora (dialoghi, suoni e rumori) e
di quella visiva (immagini). Tradurre un sistema linguistico così complesso
significa «scomporlo in tutte le sue parti costituenti e poi [...] ricostruirlo»
(Paolinelli, Di Fortunato 2012: 2).
Il testo verbale da tradurre in questo contesto sono soprattutto le battute dei
personaggi del film, o i dialoghi. Essi vengono comunemente chiamati nella
linguistica italiana “parlato cinematografico” (Raffaelli 1992, 1994) o “parlato
8
filmico” (Rossi 1999, 2009)1. È un messaggio verbale che viene articolato dagli
attori e riprodotto2 da apparecchi fonico-acustici (Raffaelli 1994: 271).
Il parlato del cinema viene solitamente definito come appartenente al
sottogenere della lingua “trasmessa”, cioè quella lingua che viene trasmessa
attraverso il canale auditivo e secondariamente, nel caso del cinema muto, visivo
(Rossi 1999: 33). Gli attori simulano nei film le situazioni comunicative della vita
reale con l’intento di eseguirle il più autenticamente possibile, per cui si può
collocare il parlato filmico tra i “simulatori del parlato” (Raffaelli 1992: 152).
Tra le caratteristiche più significative del parlato filmico Rossi segnala la sua
unidirezionalità, la simulazione del parlato reale, «la distanza tra il momento di
preparazione del testo, il momento della sua esecuzione e quello della ricezione» (a
cui si aggiungono il montaggio e la post-sicronizzazione che allontanano ancora di
più la lingua filmica dalla lingua spontanea reale), e la «molteplicità dei mittenti»
(2009: 13).
Considerate queste particolarità, il testo cinematografico non può essere
studiato né come un romanzo, né come un copione teatrale, né come un insieme di
messaggi orali. A tal punto diventa chiara la sua natura paradossale: si tratta di un
«testo-non-testo» (Rossi 1999: 49).
Negli studi specifici russi si possono riscontrare le seguenti definizioni:
“kinotekst“ (il testo cinematografico), “kinodiskurs” (il discorso cinematografico) e
“kinodialog” (il dialogo cinematografico), che talvolta vengono confusi tra di loro
(Samkova 2011: 135). Cerchiamo di delineare qui di seguito che cosa significano.
Innanzitutto, l’interesse verso la “lingua” filmica è nato in Russia nella
seconda metà del XX secolo, quando si è smesso di percepire il cinematografo
come una mera trasmissione di storie attraverso immagini in movimento, e il
cinema si è affermato come “settima arte”. Lo scrittore e sceneggiatore Tynjanov e
il regista Ėjzenštejn sono stati tra i primi a concettualizzare il cinema come un
complesso sistema semiotico (Vorošilova 2007 online). Tuttavia è stato Lotman a
svillupare dettagliamente questo discorso nella sua monografia Semiotika kino i
1
2
Nel presente elaborato questi due termini verranno utilizzati alla pari.
Perciò il parlato filmico viene spesso definito “parlato riprodotto” (Raffaelli 1992: 152).
9
problemy kinoestetiki (1998). Lotman paragona il cinema con il parlato e, definendo
l’inquadratura l’unità fondamentale della narrazione filmica, la identifica con la
parola nella narrazione ordinaria (Ivi: 306-309). L’inquadratura conferisce una certa
discontinuità del linguaggio umano naturale al testo cinematografico. Dello stesso
avviso è anche Civjan che nel lavoro Dialog s ekranom, afferma che qualsiasi film è
costituito da una sequenza continua di testo. Proprio questa sequenza viene
chiamata kinotekst (Samkova 2011 online: 135)3.
Dal punto di vista della linguistica russa moderna il testo cinematografico
appartiene ai cosiddetti “testi creolizzati” (kreolizirovannyj tekst), cioè testi la cui
natura è composta da due parti eterogenee: quella verbale e quella non verbale
(Sorokin 1990: 180-181). Nella stessa categoria rientrano anche i testi televisivi,
pubblicitari, radiofonici, propagandistici etc.
Slyškin e Efremova, sintetizzando tutte le caratteristiche del testo
cinematografico (2004), concludono che esso consiste nelle immagini, fisse e
statiche, nel parlato-parlato o parlato-scritto, nei rumori e nella musica, organizzati
tra di loro in un modo particolare e costituenti un’unità indivisibile. Il sistema
linguistico del testo filmico contiene due componenti: la componente scritta
(didascalie e scritte su insegne, nomi delle vie, lettere, biglietti di visita etc.) e orale
(parlato degli attori, canzoni, voci diegetiche). Il sistema extra-linguistico si basa su
segni non iconici (persone, animali, oggetti) e possiede una parte sonora, espressa
nei rumori “naturali” (vento, pioggia) e “tecnici” (musica) (Ivi: 14).
Per quanto riguarda il kinodiskurs (il discorso cinematografico), questa è una
nozione d’ampio respiro che abbraccia il kinotekst e il film ma non solo: essa
riguarda infatti sia l’interpretazione del prodotto visto da parte degli spettatori, che
il senso inserito nel film dai suoi produttori (Samkova 2011 online). Di
conseguenza il testo cinematografico può essere visto come frammento del
kinodiskurs e la sua componente imprescindibile. Ecco lo schema che, secondo
Samkova, illustra il rapporto tra queste due nozioni:
3
Per eventuali approfondimenti sulla semiotica del cinema rimandiamo a Rossi (2009: 7-11).
10
Fig.1
Kinodiskurs:
componenti lingustici +
extralinguistici
Kinotekst: componenti
verbali + nonverbali
Nell’analisi linguistica del cinema si utilizza inoltre il termine “kinodialog”.
Secondo la definizione tratta da Film Encyclopedia il dialogo cinematografico
include tutte le linee comunicative del film, ovvero tutto quello che si pronuncia nel
film (cit.in Kolodina 2013 online: 328). Il kinodialog non va considerato identico ai
dialoghi spontanei che facciamo nella vita reale, perché nel cinema si tratta di
parlato simulato, come abbiamo indicato precedentemente.
Per tirare le somme di ciò che è stato esposto sopra, riportiamo la citazione di
Kolodina, che a sua volta riprende in parte il discorso di Gorškova (2006 a: 77): «Se
vogliamo comprendere il film come kinotekst fissato sulla pellicola e il kinodialog»
come sua componente verbale, «allora “kinodiskurs” va visto come iperonimo
rispetto a queste due nozioni. In altre parole, kinodiskurs include sia il kinotekst che
il kinodialog» (Kolodina 2013 online: 330).
1.1.2. La traduzione audiovisiva
Prima di tutto occorre esaminare la nozione di “traduzione audiovisiva”.
Secondo la studiosa italiana Perego, cui dobbiamo studi molto dettagliati in questo
campo, la traduzione audiovisiva denota «tutte le modalità di trasferimento
linguistico che si propongono di tradurre i dialoghi originali di prodotti audiovisivi»
(2005: 7). Invece i prodotti audiovisivi sono i mezzi che impiegano
11
simultaneamente il canale visivo e quello acustico, cioè consentono al pubblico di
vedere e ascoltare nello stesso tempo il cinema, la televisione, i videogiochi etc.
Nonostante adesso l’uso del termine “traduzione audiovisiva” sembri ormai
stabilizzato nella realtà italiana, Perego nota che in passato era «spesso fonte di
confusione» (Ivi: 8). Le prime ricerche teoriche preferivano le etichette “traduzione
filmica” (film translation) e “traduzione per lo schermo” (screen translation) che
talvolta si utilizzano anche adesso4. L’espressione “traduzione filmica” pone
l’accento sui dialoghi del film, escludendo gli altri prodotti audiovisivi come spot
pubblicitari e videogiochi. La seconda etichetta evidenzia invece il mezzo attraverso
il quale si distribuiscono gli audiovisivi, cioè lo schermo. Esiste anche una terza
nozione, “trasferimento linguistico” (language transfer), la quale sottolinea la
componente verbale dei materiali audiovisivi che, insieme a suoni e immagini,
costituisce un film.
Dal momento che le tre etichette sopracitate, essendo parziali e imprecise,
mettono in rilievo o l’uno o l’altro aspetto della complessa natura dell’oggetto, è
nata l’esigenza di accettare una definizione più esauriente e di più ampio respiro,
ovvero quella di “traduzione audiovisiva”, coniata da “audiovisual translation”.
Essa viene spesso indicata nella letteratura specifica con l’acronimo inglese AVT
(Díaz Cintaz, Anderman 2009), oppure nella versione italiana TAV (Perego 2005).
“Traduzione audiovisiva”, secondo Perego, è diventata «espressione ombrello oggi
utilizzata in senso lato per far riferimento alla dimensione multisemiotica di tutte le
opere cinematografiche o televisive i cui dialoghi subiscono una traduzione» (Ivi:
8).
In Russia, nell’ambito della teoria della traduzione5, prevale l’impiego del
termine “kinoperevod” (letteralmente “traduzione cinematografica”), mentre la
4
Per esempio nel nome della European Association for Studies in Screen Translation, fondata a Cardiff nel
1995. URL: http://www.esist.org/Index.htm
5
In Russia si sono ormai consolidate le denominazioni “teorija perevoda” (Komissarov 1990) e
“perevodovedenije” (Alekseeva 2012). In Italia inizialmente, negli anni Cinquanta – Sessanta, questa
disciplina veniva chiamata “scienza della traduzione” o “storia della traduzione”. Invece negli anni Settanta
si è cominciato a chiamarla “teoria della traduzione”. Un decennio più tardi è nato il termine “traduttologia”
e, sempre negli anni Ottanta, è stato adottato il termine inglese “translation studies”. Per approfondire la
storia della disciplina cfr. Osimo (2002), Popovič (2006). Nel presente elaborato per ragioni di comodità
utilizziamo tutte queste etichette alla pari.
12
combinazione “audiovizualnyj perevod” (“traduzione audiovisiva”) si riscontra
molto raramente. Comunque esistono scuole di specializzazione e corsi per
traduttori che si chiamano proprio in questo modo: ad esempio, Škola
audiovizual’nogo perevoda Rufilms (Scuola della traduzione audiovisiva Rufilms).
Negli studi generali sulla traduzione in Russia si osserva un’evidente
trascuratezza in merito alla traduzione audiovisiva. Infatti nel libro didattico per
traduttori
di
Čužajkin e Palažničenko
Mir perevoda,
ili
večnyj
poisk
vzaimoponimanija alla traduzione audiovisiva vengono dedicate poco più di due
pagine in cui essa è considerata una specie di interpretariato, ossia la traduzione
simultanea parallela alle immagini visive. Sebbene le particolarità legate a questo
tipo di traduzione non vengano esplicitate, gli autori sottolineano che esso presenta
un lavoro molto complicato per il traduttore, il quale deve stare attento a non
cambiare il senso dei dialoghi, mantenere lo stile e «trasmettere l’aroma dell’epoca
e l’individualità»6 del testo originale (1999: 47). Soltanto di questo aspetto della
traduzione audiovisiva scrive anche Alekseeva nel Vvedenije v perevodovedenije
(2012: 19-20). Garbovskij ricorda il “kinoperevod” di sfuggita nel contesto delle
traduzioni che includono gli aspetti non-linguistici o extra-linguistici (2007: 8).
Nonostante la scarsa attenzione per la traduzione audiovisiva nella teoria della
traduzione generale, nelle singole pubblicazioni si constata un interesse nascente
verso questo settore scientifico. In questo modo Skoromyslova nota nel suo articolo
Teoretičeskij aspekt kinoperevoda che la traduzione audiovisiva assomiglia in una
certa misura alla traduzione letteraria, ma ha dei tratti caratteristici propri 7 (2010
online: 153-156). Dello stesso parere è Kuz’mičev (2012 online), che tratta il
kinoperevod come un settore ben distinto all’interno della teoria della traduzione.
Tuttavia gli studi apparentemente più salienti in questo campo d’indagine in
Russia appartengono a. Gorškova. La sua monografia Perevod v kino (2006a),
interamente dedicata alla teoria della traduzione audiovisiva, è un vero e proprio
caposaldo in questo settore. Nella prefazione del libro, la scarsità di ricerche in
questo campo viene imputata alle numerose difficoltà che lo studio della “parola”
6
7
Qui è dopo la traduzione dal russo è nostra.
Tali particolarità saranno approfondite nei paragrafi seguenti.
13
cinematografica presenta: dai problemi tecnici a quelli linguistici (2006: 6-7). La
studiosa ha anche pubblicato una serie di articoli dedicati al dialogo
cinematografico come unità della traduzione audiovisiva (2006 b) e su come
impiegarlo nella preparazione dei traduttori (2008). Oltre a ricerche teoriche,
Gorškova ha eseguito un confronto pratico fra il sottotitolaggio e il doppiaggio,
usando come esempio il film di Luc Besson Angel-A (2007). Inoltre, la studiosa si è
occupata dell’analisi dei titoli filmici (2011).
Tornando alla situazione europea, bisogna notare che anche lì la traduzione
audiovisiva è diventata «oggetto concreto di discussione solo in tempi recenti 8,
quando cioè la convergenza di circostanze socioculturali particolarmente propizie
ne ha favorito il consolidamento e l’interesse anche nel mondo accademico».
(Perego 2005: 7). Tale fatto può essere spiegato da due ragioni. Nel 1995 il
Consiglio d’Europa ha deciso di celebrare il centesimo anniversario della nascita del
cinema9 con un forum dedicato alla comunicazione audiovisiva e al trasferimento
linguistico. A partire da questo evento, scrive Perego (Ibidem), si organizzano
regolarmente seminari e convegni su tale materia e cresce significativamente il
numero di pubblicazioni scientifiche. Inoltre, negli anni Ottanta e Novanta del XX
secolo i media svolgevano il ruolo di promotori dell’identità linguistico-culturale
italiana. Contemporaneamente a questo si sviluppavano molto rapidamente le nuove
tecnologie, diventate fonte di innumerevoli prodotti in rete e fuori che necessitavano
di traduzione per accrescere il numero degli utenti.
Ora che la traduzione audiovisiva è riconosciuta all’interno della scienza della
traduzione come materia singola, essa sta diventando «matura» e «adulta» (Díaz
Cintas 2008). La ricchezza teorica di questo campo di studio testimonia anche
l’attivazione di master universitari incentrati sulla TAV presso l’Università degli
Studi di Parma, la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa, la Scuola
Universitaria per Mediatori Linguistici Gregorio VII di Roma etc.
8
Díaz Cintas scrive a riguardo: «Making abstraction of the research that never saw the ‘official’ light of day,
Lack’s (di Simon Lack – nota nostra) Le sous-titrage de films, dating from 1957, can be considered the first
volume ever to have been written on subtitling» (Díaz Cintas 2009: 2). Lo stesso lavoro viene considerato la
prima pubblicazione che affronta in genere l’argomento della traduzione audiovisiva.
9
Il 28 dicembre 1895, quando i fratelli Lumière proiettarono per la prima volta in pubblico il loro
cortometraggio La sortie des usines Lumière, è convenzionalmente riconosciuto la data della nascita del
cinema (Sadoul 1958: 122-123).
14
1.2. TIPI DI TRADUZIONE AUDIOVISIVA
Y. Gambier distingue tredici metodi di trasposizione linguistica (Gambier
2003: 171): otto dominanti e cinque “challenging”, cioè molto impegnativi e
complessi. I tipi dominanti sono i più utilizzati nel contesto della traduzione
audiovisiva e abbracciano il doppiaggio, la sottotitolazione interlinguistica10, il
voice-over, l’interpretazione simultanea, l’interpretazione consecutiva, la traduzione
simultanea, il commento libero e la produzione multilingue. Le tecniche
challenging includono la sottotitolazione simultanea, la descrizione audiovisiva, la
sopratitolazione, la traduzione degli script, la descrizione audiovisiva. Nelle
sottosezioni seguenti (1.2.1. e 1.2.2.) ci limiteremo alle due metodologie più
utilizzate in Russia e in Italia: la sottotitolazione e il doppiaggio11.
1.2.1. La sottotitolazione
La sottotitolazione è una forma di traduzione che consente di tradurre il parlato
filmico attraverso le didascalie scritte collocate in basso sullo schermo. Dal
momento che questa tecnica permette di sentire anche la versione originale del film
in lingua, essa è stata definita «modalità di traduzione trasparente» (Perego 2005:
22). H. Gottlieb descrive la natura della sottotitolazione con cinque aggettivi:
scritta, aggiuntiva, sincronica, multimediale, immediata (1992: 162-163).
La sottotitolazione e il doppiaggio sono due tecniche di traduzione concorrenti
e il predominio dell’una o l’altra varia da paese a paese. In Europa tra gli stati che
utilizzano la sottotitolazione ci sono, ad esempio, il Belgio, i paesi scandinavi, il
Portogallo, la Slovenia e l’Ungheria12. Questa scelta è spesso dettata dal basso costo
10
Il doppiaggio e la sottotitolazione – le metogologie usate maggiormente in Italia e in Russia – saranno
affrontati nei seguenti sottoparagrafi.
11
Per approfondire i vari tipi di trasferimento linguistico rimandiamo a Gambier (2003), Perego (2005), Díaz
Cintas J., Anderman G. (2009).
12
Gli elenchi completi dei paesi che privilegiano la sottotitolazione o il doppiaggio sono consultabili in
Perego (2005: 10-12).
15
della sottotitolazione rispetto al doppiaggio e dal tempo relativamente breve in cui
essa può essere preparata.
Il più grande vantaggio della sottotitolazione consiste nel mantenimento
dell’integrità dei dialoghi: dalle voci originali degli attori alla lingua in cui è stato
girato il film. Questa ultima caratteristica fa sì che i film sottotitolati vengano
spesso utilizzati nelle lezioni di lingua straniera. Al contrario, uno svantaggio
piuttosto grave è la riduzione del testo originale dal 40 al 79 % (Paolinelli, Di
Fortunato 2012: 37). Gli altri vantaggi e limiti della sottotitolazione saranno esposti
nel confronto con il doppiaggio nel prossimo sottoparagrafo.
1.2.2. Il doppiaggio
Il doppiaggio è una tecnica di post-sincronizzazione della colonna sonora
originale del film con una colonna sonora tradotta in un’altra lingua, che nasce
contemporaneamente al cinema sonoro. Già nel primissimo film sonoro della storia
cinematografica, The Jazz Singer (1927), tutti i personaggi erano doppiati
(Bollettieri Bosinelli 1994: 18). Infatti il doppiaggio non è necessariamente una
traduzione, ma anche un processo di post-sincronizzazione13.
I paesi che si avvalgono del doppiaggio sono i grandi stati dell’Europa
centrale e meridionale: Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Austria.
Anche in Russia si preferiscono storicamente i film in versione doppiata, anche se la
situazione sta cambiando e adesso si possono trovare proiezioni in lingua originale
sottotitolata non solo nei cinema d’essai.
Le difficoltà tecniche che il doppiaggio presuppone sono soprattutto la
necessità di sincronizzare molto scrupolosamente tutte le battute dei personaggi per
far sì che il testo tradotto coincida con i movimenti labiali degli attori nella versione
in cui il film è stato girato. Lo spettatore, guardando il prodotto finale, ha l’illusione
che i dialoghi vengano recitati nella sua lingua. Il doppiaggio quindi è sempre una
13
Nel presente elaborato non viene osservato il doppiaggio delle immagini con le controfigure.
16
riappropriazione da parte di altri attori. Dunque, si può affermare che il doppiaggio
è sempre qualcosa di falso, di non originale, però, come nota Lionello, il doppiaggio
deve esserlo «per risultare vero» (1994: 50). A questo punto occorre ricordare che il
cinema in sé è un prodotto falso, convenzionale, fatto a tavolino.
Oltre alle questioni tecniche, chi traduce per il doppiaggio deve risolvere tutta
una serie di problemi: tradurre il turpiloquio, l’umorismo, le parole connotate
culturalmente e dal punto di vista sociolinguistico (varietà dialettali e regionali). Un
caso particolare avviene quando si devono tradurre le battute del personaggio che
nel film originale parla la lingua della versione target (per esempio, se in un film
italiano che viene tradotto per il mercato russo c’è un personaggio russofono). In
questo caso bisogna scegliere una varietà della lingua per riprodurre il senso globale
dell’originale e per evitare una sterilità di registro.
Il doppiaggio si contrappone solitamente al sottotitolaggio dal punto di vista
linguistico, estetico ed economico (Perego 2005: 26). A differenza della
sottotitolazione il doppiaggio è una forma di traduzione molto costosa e viene
effettuato soltanto se ci si aspetta un guadagno proporzionato alle spese di
produzione. I vantaggi del doppiaggio sono più che evidenti. Prima di tutto il
doppiaggio rende un film accessibile a un grande pubblico che comprende anche
analfabeti, bambini e non vedenti. Il doppiaggio consente allo spettatore di
concentrarsi sulla parte visiva – una possibilità che la sottotitolazione limita, dato
che lo sguardo deve correre continuamente dalle didascalie alle immagini. Sempre
all’attenzione è legato un altro vantaggio del doppiaggio: anche se distoglie lo
sguardo dallo schermo, lo spettatore può seguire l’azione. Invece, senza leggere i
sottotitoli, si rischia di perdere il senso della narrazione. Per di più, il doppiaggio
permette agli attori di parlare simultaneamente, mentre i sottotitoli non riescono a
trasmettere la sovrapposizione delle battute. Inoltre, grazie al doppiaggio è molto
più facile trasferire le varietà sociolinguistiche: nella maggioranza dei casi basta
cambiare l’accento o parlare con un’intonazione caratteristica. Invece la
sottotitolazione non è in grado di veicolare tutti i gradi della varietà linguistica (Ivi:
27).
17
Tra i difetti del doppiaggio, oltre alla necessità dell’adattamento labiale, si
possono elencare: la perdita del testo originale, la laboriosità e lentezza del lavoro,
“l’autoctonia” (ovvero la presenza di una sola lingua a differenza della
sottotitolazione che invece può favorire l’apprendimento di lingue straniere).
Molto spesso questa tecnica di traduzione audiovisiva viene criticata e
chiamata perfino “un male”, a causa della sua falsità e della sostituzione del
messaggio originario del film. Comunque in Italia si è affermata la cultura del
doppiaggio. Questo fenomeno è dovuto alla politica del proibizionismo attuata dal
governo fascista, che vietava qualsiasi contatto con le lingue diverse dall’italiano, di
conseguenza anche la sottotitolazione era vietata14.
Non si può dimenticare il ruolo che ha avuto il doppiaggio nella storia
linguistica italiana. Prima ancora della missione divulgativa della televisione, è stato
il cinema a diffondere lo standard della lingua nazionale. Dato che la quantità dei
film doppiati visti dagli italiani è stata decisamente più grande di quelli di
produzione italiana, il doppiaggio è diventato in una certa misura il luogo di
formazione linguistica (Paolinelli, Di Fortunato 2012: 9-10). È nato perfino il
termine doppiaggese per definire la lingua dei film doppiati che ha influenzato sia
l’italiano parlato e scritto, dando vita, per esempio, ai calchi dall’inglese tipo “ci
puoi scommettere” (“da you bet!”) invece di “senza dubbio!”, “naturalmente!”;
“non c’è problema” (“no problem”) invece di “va bene” (Rossi online).
1.3. LE PARTICOLARITÀ DELLA TRADUZIONE AUDIOVISIVA
Nella maggioranza dei casi, la compagnia-distributore fornisce al traduttore il
film, registrato su un supporto, e la trascrizione dei dialoghi filmici (il copione). A
questo punto si traduce prima questo testo che poi viene “sincronizzato” con le
battute originarie (Skoromyskova 2010 online: 156). Il testo da tradurre include i
dialoghi dei personaggi e i loro pensieri, le parole dell’autore, le onomatopee, le
14
Vedi par. 2.3 di questo lavoro.
18
canzoni (che non sempre vengono tradotte) e le diverse scritte. A volte le
trascrizioni non sono complete o esatte, perciò il traduttore è costretto a indovinare
il senso dei dialoghi servendosi delle immagini o del contesto. Questo, ovviamente
può influenzare negativamente la qualità della traduzione.
La traduzione audiovisiva rispetta molti criteri della traduzione letteraria, però
la prima è molto meno vincolata della seconda e, quindi, può essere percepita dallo
spettatore come interpretazione libera del testo originale. Infatti solitamente il
traduttore interpreta il materiale di partenza sulla base delle trascrizioni ricevute,
adempiendo alle regole di funzionamento delle battute cinematografiche. Tali
regole, secondo Skoromyslova (Ibidem), includono: 1) la proporzionalità della
traduzione
all’originale,
visto
che
la
lunghezza
della
battuta
dipende
dall’articolazione da parte del personaggio sullo schermo; 2) il trasferimento dei
realia, oppure la loro sostituzione agli analoghi più adeguati nella cultura della
lingua bersaglio; 3) la trasposizione dell’umorismo, considerata la mentalità del
paese target. Questo punto include anche la traduzione della fraseologia, slang etc;
4) la trasposizione dei nomi personali “parlanti”; 5) la traduzione delle interiezioni e
onomatopee.
È ovvio che qualsiasi traduzione implica la trasformazione del testo di
partenza, talvolta anche la sua riduzione. Un’amplificazione è quasi impossibile in
questo caso perché il traduttore è limitato dal tempo di emissione di una battuta
(Snetkova 2007 online). Nella traduzione audiovisiva il problema del trasferimento
linguistico è ancora più grosso perché, come è stato scritto precedentemente, il
dialoghista deve adattare le parole tradotte ai movimenti labiali dell’attore. A tale
proposito vengono utilizzate le seguenti trasformazioni (Skoromyslova 2010 online:
154):
1) Omissioni: a) di una parola di poca importanza (di solito un epiteto); b) di
un frammento di testo a causa di un cambiamento della struttura testuale; c)
omissioni di parole importanti, dovute all’incomprensione del testo o di una sua
parte; d) della parte significante del testo a causa della velocità del parlato,
maggiore o minore rispetto alla traduzione.
2) Aggiunte, che possono essere aggettivi, spiegazioni supplementari etc.
19
3) Errori: a) un errore insignificante nella traduzione di una parola; b) un
errore semantico inammissibile nella traduzione di una parola chiave; c) un errore
insignificante, causato dalla trasformazione insignificante della struttura linguistica;
d) un errore semantico madornale avvenuto durante la trasformazione essenziale
della struttura linguistica.
Nella traduzione audiovisiva non è assolutamente giustificata la tendenza di
tradurre letteralmente, poiché nel film, a differenza del libro, non si possono
spiegare a lungo i significati e gli aspetti di un fatto. La traduzione, quindi, non può
essere ridotta alla trasposizione formale dei singoli elementi. Si tratta invece di
creare un complesso prodotto comunicativo, composto da codici verbali, sonori e
iconici (Denisova 2006: 155). Lavorando con un testo filmico il traduttore deve
occuparsi sia del trasferimento della simmetria testuale (delle strutture semantiche e
sintattiche), sia degli aspetti funzionali e pragmatici. Succede spesso che il
traduttore cerchi di trasmettere a qualunque costo e il più fedelmente possibile i
contenuti e il ritmo dell’originale, lasciando perdere le sfumature più importanti del
senso. Dunque, con un approccio letterale, il testo, forse, sarà tradotto in modo
preciso, ma questa precisione non serve a niente, se non sarà trasmesso il senso
completo. Nel caso opposto, un testo smetterà di funzionare. Allora la tendenza di
tradurre letteralmente può essere il segnale di una scarsa competenza del traduttore.
È importante notare che nei film il significato delle unità linguistiche si basa
spesso sulle immagini e sui suoni di qualsiasi natura (Skoromyslova 2010 online:
154). Di regola la colonna sonora non va tradotta, comunque si fanno eccezioni per
le canzoni nei cartoni animati e nei film musicali. Tuttavia, in alcuni casi si deve
attirare l’attenzione dello spettatole sulle piccole sfumature di significato, per cui
spetta al traduttore spiegare i contenuti generali della canzone o di alcuni suoi versi.
Se il titolo di un film contiene parole facenti parte di brani musicali famosi utilizzati
nel film, può essere difficile tradurre i realia (spesso sconosciuti o incomprensibili
al traduttore). Inoltre, il titolo del film può essere composto da uno o più versi di
una canzone, non inclusa in questo film. Tale situazione comporterà sicuramente
maggiori difficoltà nel corso della traduzione.
20
Secondo Denisova, il problema più grosso nella traduzione audiovisiva
consiste nel possibile grado di adattamento del testo originale alla cultura straniera,
basata su valori e nozioni diversi. Proprio questo fattore sta alla base della perdita
inevitabile nella percezione di un testo tradotto contenente argomenti “estranei” o
incompatibili dal punto di vista culturale (2006: 155). Questa ragione potrebbe
spiegare l’insuccesso economico di molti film tradotti sia in Russia che all’estero,
oppure il fatto che solitamente attirano più spettatori quelle pellicole che si fondano
sui problemi internazionali e che hanno come protagonisti attori famosi, poiché
anche la personalità dell’attore svolge una funzione connotativa.
La traduzione “trasporta” l’opera da un ambiente storico-socio-culturale a un
altro, cambiando così il destinatario del prodotto audiovisivo. Snetkova scrive che
nella percezione di un fatto “straniero” da parte di uno spettatore si riscontrano
spesso diverse imprecisioni (2007 online), poiché quello che dipende dal traduttore
è soltanto la componente verbale del prodotto, mentre le componenti visiva e
sonora, le quali contengono un grande numero di allusioni culturali e metafore
chiare al destinatario originario, restano invariabili. L’unica cosa che il traduttore
può fare in questo caso, è riportare dei piccoli commenti alla propria traduzione.
Lavorando su un film, il traduttore deve tener conto delle discrepanze fra le
due mentalità e concezioni del mondo. Una traduzione adeguata è quella che è in
grado di far vedere il colorito dell’altra cultura, evidenziato anche nei dialoghi, nelle
intonazioni, nell’ironia, nei gesti. Il traduttore deve quindi fare attenzione non solo
ai segni linguistici, ma anche a quelli extra-linguistici. Infatti, non è semplice
trovare una parola corrispondente se la frase dell’originale è accompagnata da un
gesto particolare (soprattutto quando si traduce un film italiano), anche perché le
lingue dei gesti non sempre coincidono.
21
CAPITOLO 2. IL DIALETTO E IL CINEMA ITALIANO: UN
RAPPORTO COMPLESSO
Il repertorio linguistico dell’Italia è estremamente vario e eterogeneo: dalla
lingua nazionale alle parlate dei piccoli paesi. Ovviamente, questa caratteristica non
poteva non riflettersi nella storia del cinema italiano.
Per approfondire questo intricato rapporto inizieremo con un breve excursus
sul profilo linguistico dell’Italia (par. 2.1) e, nello specifico, della Sicilia (par. 2.2),
per passare poi all’impiego del dialetto nel cinema italiano dai suoi primordi a oggi
(par. 2.3).
2.1. IL REPERTORIO LINGUISTICO ITALIANO
Storicamente l’Italia è caratterizzata da un grande numero di dialetti e di
parlate regionali. Queste varietà, individuate in base alle differenze linguistiche
connesse a variazioni geografiche, vengono definite ‘diatopiche’15 (Lo Zingarelli
2013: 668). Già Dante, analizzando i tratti caratterizzanti le lingue parlate
sull’Appennino nel suo trattato De vulgari eloquentia (1303-1304), aveva composto
«una prima classificazione dell’Italia dialettale» (Marcato 2002: 11), avvalendosi
del criterio geografico.
Le origini del termine “dialetto” risalgono alla parola greca diálektos che
indicava prima “colloquio, conversazione” e poi “lingua di un determinato popolo”.
In latino il termine è passato nella forma dialectos (o dialectus) che significava
«parlata locale assunta a importanza letteraria» (Marcato 2002: 13). La concezione
odierna della nozione “dialetto” si è stabilita all’inizio del VIII secolo. Nel 1724
Salvini scrivevava: «I vostri natii dialetti vi costituiscono cittadini delle sole vostre
città; il dialetto toscano appreso da voi, ricevuto, abbracciato, vi fa cittadini d’Italia»
15
«Dal Greco diá ‘attraverso’ e tópos ‘luogo’» (Marazzini 1994: 130).
22
(cit. in Cortelazzo 1969: 13). Questa citazione accosta il termine “dialetto” alla
situazione geopolitica italiana settecentesca, confermando una chiara opposizione
tra lingue locali e italiano comune.
Nonostante l’italiano, basato sul fiorentino scritto, venisse imposto come
lingua letteraria e lingua della scuola, in realtà era parlato da un numero esiguo di
persone fino alla seconda metà del Novecento (Marcato 2002: 15). Perfino gli
scrittori più illustri di quei tempi avevano un atteggiamento molto critico verso
l’italiano normativo: U. Foscolo e C. Gozzi lo consideravano lingua morta,
Manzoni credeva che gli scrittori italiani dovessero elaborare una lingua vivace e
“vera” e G. Leopardi sottolineava la povertà e la secchezza dell’italiano (De Mauro
1963: 31).
L’Unità d’Italia (1861) e il trasferimento della capitale a Roma (1871) hanno
accelerato la diffusione dell’italiano e il suo consolidamento anche come lingua
parlata attraverso l’urbanizzazione, l’unificazione dell’apparato burocratico,
dell’esercito, dei mezzi di comunicazione e della scuola (De Mauro 1963: 51). I
“nuovi” italiani abbandonavano la campagna e dunque il dialetto per trasferirsi nelle
grandi città e usare l’italiano. Per questo spesso venivano derisi dai loro parenti e
dalle comunità: da qui sono nate le espressioni «parla come mamma t’ha fatto» o
«parla come mangi», quindi come hai imparato da bambino (Marcato 2002: 17-18).
Nonostante ciò la gran parte dei cittadini italiani aveva una scarsa padronanza
dell’italiano e, non sapendolo utilizzare correttamente, lo ibridava con dialettismi.
Parecchi italiani preferivano addirittura parlare interamente in dialetto, pur
conoscendo le norme dell’italiano letterario. Ad esempio, il primo re d’Italia,
Vittorio Emanuele II, usava il dialetto persino nelle riunioni ufficiali (Marcato
2002: 16).
Marazzini scrive che non esistono «statistiche ufficiali o censimenti che ci
indichino in maniera certa quanti fossero coloro che erano in grado di lasciar da
parte il dialetto e conservare la lingua» (1994: 393). Ebbene secondo i calcoli di De
Mauro su 25 milioni di italiani soltanto 600 mila parlavano l’italiano, mentre il 98%
23
della popolazione considerava l’italiano una lingua altrui. Dei 600 mila, 400 mila
abitavano in Toscana e 70 mila a Roma (cit. in Kasatkin 1976: 161)16.
In genere, il sud d’Italia e i piccoli centri sono più conservativi nei confronti
del dialetto che il nord e le metropoli. Tuttavia, dalle parole di Marcato, nel Veneto
e a Bologna il dialetto è ancora molto vitale (2002: 18). La convivenza della lingua
nazionale – l’italiano – e dei dialetti sul territorio del Bel paese ha portato alla
formazione di un sistema linguistico particolare17:
Italiano (come si scrive)
Italiano regionale
Dialetto regionale
Dialetto locale
Dallo schema risulta chiaro che oltre all’italiano e al dialetto in linguistica si
distingue anche il cosiddetto italiano regionale. Una spiegazione estremamente
chiara di questo fenomeno l’ha proposta De Mauro: adottando la lingua comune i
dialettofoni «vi hanno inserito elementi lessicali del loro dialetto d’origine e l’hanno
piegata alle consuetudini fonologiche e sintattiche dialettali» (1963: 142). Visto che
le differenze regionali si riscontrano soprattutto a livello fonetico, si può indovinare
quasi sempre da dove proviene il parlante. A parte la pronuncia, le varietà regionali
si avvicinano all’italiano dell’uso medio e si utilizzano piuttosto nelle situazioni
informali (Mengaldo 1994: 96-97).
Marcato indica che «i principali italiani regionali sono quello settentrionale,
quello centrale [...] romano, meridionale, meridionale estremo e sardo (2004: 9596). Kasatkin distingue anche la varietà regionale toscana, quella umbromarchigiana e quella siciliana (1976: 172).
A sua volta il termine “dialetto” in genere ha oggi due significati: 1) sistema
linguistico autonomo che ha una storia e delle caratteristiche strutturali diverse dalla
16
Sulle particolarità dei calcoli di De Mauro e sui calcoli più moderni di Castellani rimandiamo a Marazzini
(1994: 394-395).
17
Lo schema si riferisce a quello proposto da Migliorini (1190: 109).
24
lingua nazionale; 2) «una varietà parlata della lingua nazionale, cioè una varietà
dello stesso sistema» (Dardano 1996: 171).
In Italia il dialetto viene inteso nella prima definizione, però è erroneo pensare
che fra l’italiano e i dialetto (in generale) ci sia una barriera, anzi entrambi derivano
dal latino e, come afferma la linguista M. L. Altieri Biagi non presentano
«differenze ontologiche e qualitative, ma storiche e quantitative» (Della Monica
1981: 74). In origine anche l’italiano non è altro che un dialetto, ossia «il toscano di
tipo fiorentino della tradizione scritta trecentesca che a partire dal Cinquecento
viene scelto come modello per la lingua chiamata solitamente, a quel tempo, lingua
volgare e in seguito lingua italiana» (Marcato 2002: 21).
Fra l’italiano e il dialetto esiste un rapporto “mobile”. Nel parlato degli italiani
possono avvenire addirittura la commutazione di codice (code-switching) – il
passaggio dall’italiano al dialetto e viceversa all’interno di una enunciazione –
oppure l’alternanza di codice (code-mixing), ovvero la scelta di una varietà a
seconda della situazione. Le ricerche condotte negli anni Cinquanta dallo studioso
svizzero R. Rüegg hanno rivelato che 1/3 della popolazione italiana combinava nel
parlato quotidiano la lingua comune e il dialetto nello stesso discorso o perfino nella
stessa frase e 4/5 utilizzavano perlopiù il dialetto (Čerdanceva 1982: 26).
Un’altra nozione presente nello schema fornito precedentemente è “dialetto
locale”. Se il dialetto regionale è tipico più o meno per tutta la regione in cui si
utilizza, il dialetto locale è una sottovarietà, legata appunto ai piccoli centri,
campagne, aree periferiche (Marcato 2002: 130-131).
I dialetti italiani si diversificano molto fra di loro e hanno propria letteratura,
grammatica, vocabolari. Le prime proposte scientifiche della loro delimitazione18
sono apparse nel XIX secolo. La gran parte delle classificazioni è basata sul
principio “genealogico”, cioè viene valutata la distanza dei vari dialetti dal latino.
Per quanto impossibile sia fornire una classificazione precisa, perché non esistono
iconfini fissi, Marazzini distingue tre aree dialettali diverse: la Settentrionale, la
18
Dopo Dante, che nel sopraccennato trattato De vulgari eloquentia «aveva ordinate I volgari con criterio
geografico tenendo come riferimento l’Appennino» (Marcato 2002: 171).
25
Centrale e la Meridionale, che sono separate al centro-nord dalla linea La SpeziaRimini e al centro-sud dalla linea Roma-Ancona (1994: 465).
La classificazione di G.B. Pellegrini (1975: 55-87) riconosce cinque sistemi
principali: dialetti settentrionali, friulano, toscano, dialetti centromeridionali, sardo.
All’interno della classificazione sono possibili ulteriori suddivisioni. Il sistema
centromeridionale, che ci interessa di più, considerato l’argomento dell’elaborato, si
suddivide in tre aree principali:
-
area mediana: Marche, Umbria centromeridionali, Lazio centrale
-
area meridionale
-
area estrema (Salento, Calabria centromeridionale, Sicilia)
2.2. IL DIALETTO SICILIANO
Secondo la classificazione di Pellegrini riportata nel paragrafo precedente, il
siciliano appartiene all’area dialettale estrema facente parte del sistema
centromeridionale. D’Ovidio e Meyer-Lübke all’interno dei dialetti siciliani
identificano il palermitano, il catanese, il dialetto dell’Etna, il dialetto di Bronte, il
siracusano, il dialetto di Noto, Colonie di gallo-italici (cit. in Marazzini 1994: 468).
Inoltre si contano da 47 a 13019 subdialetti (o dialetti locali) delle province siciliane,
che si differenziano per particolarità di pronuncia e di forme lessicali e
grammaticali dal siciliano generalizzato (Ruffino 1989: 160-161). Tuttavia questi
distacchi non sono così fondamentali da dover considerare separatamente i singoli
sottodialetti.
La complicatissima storia dell’isola condiziona la presenza di numerosi
vocaboli di origine straniera nell’idioma siciliano (Devoto, Giacomelli 1972: 149).
Il sistema linguistico locale subì l’influsso dei greci, romani, arabi, normanni con
19
È impossibile fornire un numero esatto per l’impossibilità di classificare con precisione i sottodialetti
siciliani (Ruffino 1989: 160-161)
26
l’apporto dei francesismi, l’immigrazione lombarda20 e quella albanese (Bigalke
1997: 3-4) .
Fino alla seconda metà del XVII secolo l’ortografia siciliana «fu modellata
sulla normanna e provenzale, e sulla catalana» (Avolio 1882: 1). Gli isolani
scrivevano ostinatamente in dialetto, poiché in toscano mancavano i segni necessari
per rendere alcuni suoni del siciliano. Tutte le leggi e documenti ufficiali venivano
scritti in questo idioma. Ai tempi di Carlo V (XVI secolo) finalmente cominciò ad
affermarsi anche il toscano, ma il problema della rappresentazione dei suoni
mancanti restava ancora irrisolto. Questo suscitò trascrizioni diversi: per esempio,
per trascrivere “sciatu” (fiato) dove [sc] è una fricativa come in italiano “scemo”,
ma più debole, si utilizzavano talora sc, x e c (Ivi: 3).
La realtà linguistica siciliana è delimitata assai significativamente anche in
senso geografico, rispetto al resto d’Italia. Infatti l’italiano regionale in Sicilia non è
soltanto un leggero distacco dalla norma letteraria, «ma è anche un dichiarato segno
di rifiuto di un italiano omogenizzato» (Radtke 1987: 63), cioè una varietà che
mantiene un forte livello di tracce dialettali. Soprattutto il sistema foneticofonologico21 si contrappone marcatamente a quello standard.
La pronuncia siciliana presuppone, secondo Tropea (1976: 20-21):
- la sonorizzazione della sibilante dopo nasale: “se[nż]o” (senso), “pe[nż]sare”
(pensare);
- la sonorizzazione di z all’inizio della parola: [d͡zio] (zio), [d͡zukka] (zucca);
- la non-differenziazione fra o ed e aperta e chiusa;
- la sonorizzazione delle plosive p, t dopo nasale: “ro[mb]o” (rompo),
pen[nd]ola;
- la pronunzia forte di b-, d-, g-, -g-: “bbuono”, “bbello”, “ggiusto”; “reggina”
- la pronunzia di s sorda intervocalica: “[kasa]” (casa);
- la sonorizzazione del nesso -lz-: “[al’dzare]” (alzare);
- l’assordimento della palatale nel nesso -ng-: “manciari” (mangiare);
20
Si tratta dell’immigrazione dei coloni Galloitalici dalla zona ligure-piemontese in Sicilia. I Galloitalici,
chiamati generalmente con il nome “lombardi” si stabilirono sull’isola nel periodo normanno, fondando le
seguenti colonie: Piazza Armerina, Novara di Sicilia, Nicosia, Sperlinga ed altre (Pagano 2013/2014: 12).
21
Per approfondire cfr. Tropea (1976), Bigalke (1997). I tratti grammaticali del siciliano saranno esposti nel
paragrafo 3.3.4 del presente lavoro.
27
- la tendenza a sciogliere i dittonghi in “piatto”, “pioggia”.
Tuttavia Radtke nota che gli stessi tratti caratterizzano tutto il Mezzogiorno
come opposizione alla “toscanità” e evidenzia soltanto due particolarità riservate ai
parlanti siciliani (Radtke 1987: 63):
« - la mancanza di rafforzamento sintattico dopo “da”, “chi”, “o” (“da
Firenze”, “chi-lo-dice”, “io o lui”)
- la pronuncia cacuminale dei nessi tr-, -ttr-, -dr-, -ddr- e str- (strada ecc.)».
2.3. L’IMPIEGO DEL DIALETTO NEL CINEMA ITALIANO:
DAGLI ESORDI A OGGI
Nel 1992 il linguista S. Raffaelli nota che in Italia «non esistono studi
sistematici e d’ampio respiro almeno cronologico» sull’utilizzo del dialetto nel
cinema (1992: 45). Proprio a Raffaelli dobbiamo le prime ricerche storiografiche in
questo ambito. Il linguista divide la storia dell’impiego del dialetto in tre tappe: 1)
l’epoca del dialetto orale, ossia «l’integrazione dialettale dal vivo» (Raffaelli 1992:
60) a cavallo dei secoli XIX e XX; 2) l’epoca del dialetto scritto, ovvero il dialetto
nei titoli dei film, nell didascalie dialogiche, sulle insegne dei negozi, nei cartelloni
stradali etc., dai primi anni del XX secolo al 1929; 3) l’epoca del dialetto riprodotto,
cioè realizzato
oralmente, registrato e emesso con musiche e rumori
contemporaneamente al video, dal 1929 ad oggi
Le ricerche di Raffaelli sono state ampliate dal linguista F. Rossi. Prendendo
come fondamenta la periodizzazione del suo predecessore, Rossi aggiunge molti
esempi interessanti e protrae gli studi fino al cinema contemporaneo. Nel presente
paragrafo offriamo quindi un breve profilo storico del rapporto dialetto – cinema
italiano, basandoci sui lavori di questi due studiosi.
Il dialetto e le parlate regionali fanno parte del cinema italiano sin dai suoi
primordi. A spiegare questo contribuiscono le particolarità geo- e sociolinguistiche
dell’Italia. Rossi scrive che i produttori del primo cinema italiano si sono imbattuti
28
subito in numerose difficoltà di tipo semiotico e linguistico, cercando di capire
quale era «il parlato più appropriato alla finzione filmica, in grado cioè di conciliare
due opposte tendenze: da un lato la piena comprensibilità del pubblico più vasto
possibile [...] dall’altro il realismo richiesto vuoi dalle trame vuoi dalle
caratteristiche del mezzo stesso, così vicino alla riproduzione fedele del mondo»
(Rossi 2007: 21). Con l’avvento del cinema sonoro l’urgenza di decidere se
includere o meno nel testo filmico la grande varietà dei dialetti italiani, che nel caso
avrebbero impedito la comprensione da parte dell’intero pubblico nazionale, è
diventata impellente. Comunque per la sua natura, il cinema è «lo specchio della
realtà» (Ivi: 643) e, anche se la sua mimesi non può risultare assolutamente
completa (perché la lingua del film è in ogni caso una lingua finta, riportata nella
sceneggiatura scritta, poi sincronizzata, trattata con missaggio e montaggio), resta
pur vero che i film trasmettono le caratteristiche della società.
Prima ancora della nascita del cinema sonoro e pure del sottotitolaggio c’era la
tendenza di commentare i film dal vivo cosa che, indubbiamente, favoriva la
penetrazione delle forme dialettali. Il pioniere in questo campo fu L. Fregoli che nel
periodo dal 1898 al 1903 “doppiava” i personaggi dei suoi film «cantando e
interloquendo, nascosto dietro lo schermo» (Raffaelli 1992: 62). Ma questo non è
stato l’unico tentativo di “dare voce” agli attori. Ad esempio, nel 1907 il film muto
di A. Roatto Biasio el luganegher fu commentato durante la sua proiezione a
Venezia da filodrammatici in dialetto veneziano (Ivi: 63). I dialettalismi impiegati
in queste situazioni passarono al cinema dai teatri popolari, caffè-concerto e varietà,
molto di moda in quei tempi nelle grandi città italiane. Anche nel periodo del
secondo dopoguerra era molto diffusa la pratica di integrazione filmica orale, dato
che la percentuale degli analfabeti restava ancora molto alta22.
Il dialetto dei primi film italiani entrava soprattutto nel linguaggio delle
“cinecommedie” che spesso uscivano in due versioni: locale e nazionale, come nel
caso di San Giovanni decollato (1917) di T. Ruggeri italianizzato fuori Sicilia
(Rossi 2007: 26). Le commedie basate su cliché erano un genere tipico di Napoli,
22
Questa situazione è riflessa, per esempio, nei film Nuovo cinema paradiso (1988) e Baarìa (2009) di
G. Tornatore.
29
ma anche fuori dalla città partenopea si producevano pellicole fortemente
influenzate dal dialetto: ad esempio, il film di L. Maggi e R.L. Borghetto Maciste
Alpino (1916) prodotto a Torino.
Nel 1914 il Ministero dell’Interno italiano promulgò il primo decreto sulla
censura che diceva: «I titoli, i sottotitoli e le scritture, tanto sulla pellicola quanto
sugli esemplari della domanda, debbono essere in corretta lingua italiana. Possono
tuttavia essere espressi in lingua straniera, purché riprodotti fedelmente e
correttamente anche in lingua italiana (Raffaelli, 1992: 170). Nonostante questa
disposizione, l’arrivo nel cinema di nuovi sceneggiatori influenzò fortemente il
linguaggio filmico, diventato più sciolto rispetto alla norma, spesso con macchie
dialettali.
Con l’avvento del sonoro nacque un altro problema: gli attori non sapevano
come recitare per sembrare naturali e cercavano un equilibrio fra il pathos del
teatro, la mimica esagerata del cinema muto e le espressioni colloquiali della vita
quotidiana. Già nel primo film sonoro italiano La canzone dell’amore (1930) di
G. Righelli l’attrice bolognese I. Pola pronunzia i suoni fricativi e parla con
un’intonazione dialettale all’emiliana. Anche nelle battute dell’altra attrice O. Capri
si sentono molti inserti dialettali (Rossi 2007: 28-29).
Anche i film americani doppiati per il mercato italiano presentavano dei tratti
dialettali. All’inizio degli anni Trenta era molto più economico assumere per il
doppiaggio gli immigrati italiani viventi a Los Angeles e New York. Molto spesso
questi dialoghisti provenivano dalle zone italiane più povere, come Napoli e la
Sicilia, e non sapevano parlare la lingua letteraria italiana. Questo fu il caso del film
Riders of the Purple Sage di H. MacFadden (1931), uscito in Italia con il titolo
L’amazzone mascherata: gli attori utilizzavano un miscuglio di dialetto romano e
napoletano, quasi del tutto incomprensibile a un italiano medio. Di conseguenza il 5
ottobre 1933 è stata approvato il decreto che proibiva la distribuzione in Italia dei
lungometraggi doppiati all’estero (Rossi online).
Dal 1929 al 1934, cioè all’inizio del regime fascista, la più grande compagnia
cinematografica italiana Cines, situata a Roma, produsse pellicole su tematiche
popolari utilizzando il dialetto. Si credeva che questo favorisse la diffusione
30
dell’ideologia nelle grandi masse. Non di rado la biografia degli attori veniva messa
in parallelo con le vicende dei personaggi: così il fiorentino di nascita cresciuto a
Venezia, G. Gianetti, parla nel Figaro e la sua gran giornata (1931) il veneziano.
Tuttavia, tutte queste apparizioni del dialetto rimangono per lo più occasionali.
Il pioniere dell’impiego consapevole del dialetto fu il regista A. Blasetti. Nel suo
primo film Nerone (1930) l’attore E. Petrolini ricorre talvolta al romanesco, invece
in Palio (1932) il toscano fiorentinizzato «assurge a protagonista» (Raffaelli 1992:
89). La tavola dei poveri (1932) presenta dei regionalismi fonetici e morfologici
napoletani, normalizzati per il mercato nazionale: «Signo’, vi so’ caduti dui soldi».
Tuttavia, il vero trionfo del dialetto è 1860 di Blasetti, uscito nel 1933, in cui per la
prima volta l’italiano convive con il siciliano, il piemontese, il ligure, il latino, il
romanesco, il lombardo, nonché con le lingue straniere quali il tedesco e il francese.
Raffaelli definisce questo film «prototipo di noti viaggi nell’Italia dialettale»23
(Ibidem). Su questo concorda Rossi, che considera il dialetto il fulcro e il vero
protagonista di questo capolavoro (2007: 65).
La fioritura del dialetto ebbe però termine nel 1934, quando il fascismo
cambiò la sua politica verso un dichiarato antidialettismo, anzi ad una dialettofobia,
il cui esponente più forte fu il direttore generale per la cinematografia L. Freddi24
(Raffaelli 1994: 276-277). Infatti l’intento di uniformare tutti gli aspetti della
società italiana, anche quello linguistico, riguardò anche il parlato filmico che
dovette adottare un italiano scolastico creato artificiosamente ad hoc. Malgrado
questi impacci, secondo lo sceneggiatore e critico cinematografico allora attivo G.
Aristarco, sarebbe erroneo affermare che nelle opere di quei tempi il dialetto fosse
del tutto assente, perché il 90% della produzione filmica di allora lo conteneva in
varia misura (Aristarco 1985: 24).
Dopo il 1938 l’arrivo nel cinema di attori comici (Totò, Macario, A.Fabrizi) e
di scrittori-sceneggiatori umoristici contribuì ad alleggerire la lingua. Alcuni film
di questo periodo avevano pure delle glosse. Ad esempio, l’opera di M. Mattoli Ore
23
Si tratta soprattutto dei film neorealisti.
24
Raffaelli rimanda qui a Freddi L. “Dei dialetti” in Il popolo d’Italia, 14 agosto 1929, p. 3, dove si
condannano le varietà dialettali e viene consigliata «l’unità di pronunzia».
31
9: Lezione di chimica (1941): «Un bel mari, un bel marito»; «mi fog a nàgota, non
ho fatto niente» (Rossi 2007: 67).
Dal 1945 iniziò la nuova era del dialetto con la pellicola inaugurale del
neorealismo Roma, città aperta di R. Rossellini, la
cui parlata centrale era il
romanesco. I film neorealisti riflettevano sullo schermo, con l’esattezza dei
documentari, la vita reale del popolo oppresso dalla guerra e, poiché l’unica «lingua
dei poveri»25 fu il dialetto, esso diventò mezzo fondamentale per veicolare
resistenza, ribellione e speranza dei cittadini (Raffaelli 1994: 278-289). Nel
rosselliniano Paisà (1946), ambientato in Sicilia, a Napoli, a Roma, a Firenze,
sull’Appennino tosco-emiliano e nel Delta del Po, troviamo le realtà linguistiche di
tutte queste zone presentate in modo estremamente autentico. Per la prima volta
nella storia cinematografica d’Italia il dialetto assunse in tutta una corrente «una
posizione non più subalterna ma di parità assoluta, che nei casi di Paisà e di
Sciusià26 risulta affermata con evidenza già dal titolo» (Raffaelli 1992: 107).
Dopo i neorealisti, negli anni Cinquanta le varietà regionali fiorirono nella
commediola di costume (o commedia all’italiana), che si basava sul folklore e
stereotipi nazionali. L’esempio è Pane, amore e fantasia di L. Comencini: «Che te
mangi? Pane, marescià» (Ivi: 120), ma anche Divorzio all’italiana di P. Germi e Il
sorpasso di D. Risi. Si instaurarono anche dei cliché espressivi, vivi anche oggi: «il
sessuomane e il poliziotto hanno l’accento siciliano, l’ingenuo quello bergamasco,
veneto o ciociaro, il cocciuto il sardo, l’arrivista [...] il milanese, la domestica il
veneto o l’abruzzese, l’imbroglione il napoletano, la prostituta il bolognese» (Rossi
2007: 47). Il romanesco, che non è una varietà molto diversa dalla norma, è più o
meno il sistema linguistico centrale di questo filone, visto che Roma era il centro
del Paese.
Negli anni Ottanta la televisione adottò l’italiano dell’uso medio per
informare, divertire e istruire gli spettatori. Quindi soltanto i dialetti urbani più
comprensibili potevano andare in onda. Tuttavia ci furono delle eccezioni: L’Albero
degli zoccoli (1978) di E. Olmi in bergamasco arcaico, Immacolata e Concetta»
25
26
Cfr. la didascalia iniziale del film La terra trema di L.Visconti, 1948.
I film di V. De Sica.
32
(1979) di C. Piscicelli in dialetto campano, Vermisàt (1974) di M. Brenta in
lombardo ed altri. Inoltre i nuovi attori e registi comici come R. Benigni, M. Troisi,
F. Nuti, C. Verdone, rivitalizzarono il linguaggio cinematografico, scherzando sulla
caratterizzazione dialettale (Rossi 2007: 116).
Anche adesso i dialetti si usano perlopiù per scopi mimetici o satirici. Il primo
filone è rappresentato, ad esempio, dal film di M. Garrone Gomorra nell’italiano
regionale di Napoli, in alcuni momenti quasi incomprensibile senza sottotitoli.
L’utilizzo satirico o umoristico del dialetto raggiunge il suo apice nei film di
L. Miniero Benvenuti al Sud (2008) e Benvenuti al Nord (2012) nei quali tutta la
trama si basa sulla contrapposizione tra la settentrionalità e la meridionalità.
33
CAPITOLO 3. IL TRASFERIMENTO LINGUISTICO E
CULTURALE DEL DIALETTO NEL FILM BAARÌA DI
G. TORNATORE
Il terzo capitolo esaminerà come viene tradotto il dialetto nel film Baarìa
(2009) di Giuseppe Tornatore. Prima di tutto sarà esposta la metodologia applicata
durante lo studio del materiale (par. 3.1). In secondo luogo descriveremo la
complicata fisionomia linguistica dell’opera (par. 3.2) che condiziona le eventuali
difficoltà della traduzione. Questa operazione ci servirà da base per analizzare le
scelte traduttive per la trasposizione del dialetto siciliano fatte nelle edizioni italiana
e russa di Baarìa (par.3.2).
3.1. LA METODOLOGIA DELLA RICERCA
Chi scrive il presente elaborato aveva visto il film Baarìa di G. Tornatore per
la prima volta in russo27 e non aveva capito il senso vero di molte scene. Passati
alcuni anni l’ha riguardato in versione italiana e ha scoperto la bellezza di questa
opera contenuta non solo nella scenografia, ma anche nel “linguaggio” del film, pur
non essendo l’italiano la lingua originale di Baarìa. Da qui è nato l’interesse di
confrontare i diversi Baarìa: l’originale siciliano, la versione italiana doppiata dagli
stessi attori e la traduzione russa.
L’attualità di tale scelta è stata approvata già nelle prime fasi della ricerca.
Raccogliendo l’informazione sul film ci siamo imbattuti in diversi forum che
discutevano quest’opera e, nello specifico, la sua particolarità linguistica. Ecco
alcune citazioni al riguardo scritte dai siciliani: «Trovo che la versione in dialetto
sia molto interessante rispetto a quella tradotta in italiano che immagino perda
27
Il film sottotitolato in russo è stato proiettato per la prima volta a Mosca al festival del cinema italiano Da
Venezia a San Pietroburgo , in febbraio 2010 è uscita la versione doppiata e distribuita dalla compagnia CP
Classic.
34
anche quel pathos della musicalità della lingua siciliana»28; «In questo film il
doppiaggio italiano secondo me rischia di far perdere gran parte del fascino, io l'ho
visto sottotitolato e devo dire che la traduzione impoveriva miserabilmente
soprattutto dei modi di dire dialettali intraducibili»29; «La grande forza del film, di
cui gli spettatori italiani saranno privati per ragioni di mercato, è che la folla di
attori che lo popolano parla in dialetto baarioto […] In italiano il film sarà più
comprensibile, ma meno commovente e ipnotizzante, perché i suoni di quella lingua
quasi selvaggia aderiscono completamente alle persone e ne esaltano le storie» 30. In
effetti, molti isolani credono che nel doppiaggio italiano il film sarebbe privo di
questa sua autenticità insita nel dialetto.
In Russia il film è uscito prima in versione sottotitolata, poi è stato doppiato.
Prendiamo in esame soltanto il doppiaggio poiché riteniamo che sia erroneo
confrontare in questa sede i vari tipi di traduzione audiovisiva, già così diversi nella
loro natura come abbiamo dimostrato precedentemente (par. 1.2.1 e 1.2.2). In
genere, Baarìa non ha avuto molto successo nel mercato cinematografico russo.
Dal momento che l’originale è quasi del tutto incomprensibile per quelli che
non sanno il siciliano, per la ricerca è stato utilizzato il libro Baarìa (2009)31 di G.
Tornatore edito quasi contemporaneamente con la pellicola, che contiene la
trascrizione fedele di tutte le battute cinematografiche. Tornatore confessa nella sua
prefazione che letteralmente soffriva «per conservare l’originario dialogo, così
come lo» aveva «concepito durante la scrittura del film, e assicurare, nello stesso
tempo, una facile lettura anche a chi il dialetto siciliano non lo conosce» (2009: 15).
Dunque, nella versione cartacea le parole più incomprensibili vengono tradotte in
italiano in nota a piè di pagina. Tuttavia, queste traduzioni non sempre coincidono
con i dialoghi nella versione italiana doppiata. A tal punto nel corso di lavoro si è
dovuto confrontare continuamente quello che c’è scritto con quello che si sente
sullo schermo.
28
La citazione è presa dal Forum Libri. URL: http://www.forumlibri.com/forum/piccola-cineteca/7163tornatore-giuseppe-baaria.html
29
Ibidem.
30
La
citazione
è
presa
dalla
discussione
del
film
Baarìa
sul
sito
Virgilio.
URL: http://film.virgilio.it/film/99871/baar%C3%ACa.html
31
Non è l’unica volta che Tornatore pubblica una sceneggiatura del suo film: sono state pubblicate anche
Nuovo Cinema Paradiso (1990), La migliore offerta (2013), La corrispondenza (2016).
35
In primo luogo abbiamo segnalato tutte le battute o le frasi/parole singole
dentro una battuta in cui il dialetto della versione originaria viene lasciato intatto nel
doppiaggio italiano. Queste occorrenze sono state messe in una tabella che contiene
le due varianti della stessa battuta: quella siciliana e quella tradotta. Dopodiché
abbiamo rintracciato e messo nella terza colonna della tabella le stesse battute in
russo trascritte da noi. Alla fine si è ottenuta la seguente tavola di concordanza in
cui le cifre indicano il tempo di esecuzione della battuta nella versione originaria 32 e
le parole in maiuscolo corrispondono a chi pronuncia la battuta:
Tab. 1
SICILIANO
3.18 MAESTRA: Unn’i
mittìsti libru e quaderni?
Parra!
ITALIANO
RUSSO
Dove li hai messi il libro УЧИТЕЛЬНИЦА:
e i quaderni? Parla!
Куда ты дел книжки и
тетрадки?
Lavorando con il corpus, abbiamo stabilito quali varietà della lingua si
riscontrano nel film e costituiscono quindi la sua fisionomia linguistica, per
proseguire con l’analisi degli esempi raccolti.
Prima di tutto abbiamo studiato come viene reso il titolo del film, costituito da
un toponimo dialettale, nelle traduzioni italiana e russa. In un secondo luogo ci
siamo focalizzati su come il repertorio linguistico dell’originale venga “trasportato”
nelle traduzioni.
Successivamente abbiamo delineato quali caratteristiche fonetico-fonologiche
del dialetto siciliano vengono “trasferite” nel doppiaggio italiano e abbiamo
stabilito se l’edizione russa di Baarìa riflette in un qualche modo le diversità della
pronuncia caratteristica dell’originale. Dopodiché abbiamo delineato i momenti in
cui la grammatica dialettale viene mantenuta nella versione italiana o riflessa con
strumenti diversi nel doppiaggio russo.
Infine, la parte più grande e più importante dell’analisi si è concentrata sulle
trasposizioni del lessico dialettale. A quel punto gli esempi del corpus linguistico
sono stati raggruppati in cinque categorie a seconda dell’informazione che
32
Nella versione russa del film alcune scene sono state tagliate, perciò i tempi di esecuzione non coincidono.
36
trasmettono: 1) i nomi propri, 2) il turpiloquio, 3) le interiezioni, 4) i realia 5) i
modi di dire.
Occorre precisare che le varie tappe di questa analisi non sono isolate fra di
loro e una parola/battuta può contenere più aspetti che possono essere studiati.
Bisogna sottolineare inoltre che non sempre viene eseguito un confronto triplo, cioè
in alcuni casi una terza variante è irrilevante per la ricerca perciò viene omessa. Per
esempio, questo succede quando descriviamo le caratteristiche fonetico-fonologiche
della pronuncia dialettale lasciate nel doppiaggio italiano.
3.2. LA FISIONOMIA LINGUISTICA DEL FILM BAARÌA DI G.
TORNATORE
Baarìa è stato presentato il 22 settembre 2009 alla 66a Mostra Internazionale
d’arte cinematografica di Venezia come film inaugurale del festival. La trama
racconta la storia italiana, e nello specifico siciliana, dagli anni Trenta agli anni
Ottanta, attraverso le vicende private del bagherese Peppino Torrenuova e tre
generazioni della sua famiglia. Peppino, all’inizio della pellicola un bambino che
deve abbandonare la scuola e lavorare per guadagnarsi il pane, entra da adolescente
nelle file del Partito Comunista; da adulto sposa Mannina – una compaesana – e
trasforma la passione per il comunismo in una professione, diventando consigliere
comunale del partito.
Tra gli eventi storici più significativi a cui il film fa riferimento ci sono le
efferatezze del regime fascista degli anni Trenta, la partecipazione dell’Italia alla
Seconda guerra mondiale, lo sbarco degli americani in Sicilia (10 luglio 1943), la
nascita della Repubblica Italiana (1946), la strage di Portella della Ginestra33
(1947), le elezioni politiche del 197234. I personaggi illustri “trasportati” sullo
schermo sono, ad esempio, l’attore A. Sordi, il regista A. Lattuada, il pittore
33
La prima strage dell’Italia repubblicana.
34
Le elezioni anticipate per il rinnovo della Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica, sciolte per
dal Presidente della Repubblica prima della scadenza di legislatura.
37
R. Guttuso e il grande poeta dialettale siciliano I. Buttita. Tuttavia il vero
protagonista dell’opera è la gente comune siciliana, o meglio bagherese, con la sua
cultura, la sua vita quotidiana e la sua lingua. Tornatore descrive Baarìa così:
«E’un film sull’appartenenza a una comunità. Più la comunità è piccola, più è forte
questa identità. L’unità di luogo, Bagheria, che ho amato chiamare in dialetto, serve
proprio a rafforzare il progetto iniziale dell’opera: il tema dell’appartenenza»
(Ferrara 2009 online).
Bagheria – questo è il suo nome in italiano – è il luogo di nascita di
Tornatore, un comune della città metropolitana di Palermo, e vediamo e sentiamo
tutte le vicende del film attraverso gli occhi e le orecchie del regista, anche se alcuni
eventi riflessi nella trama sono avvenuti quando il maestro non era ancora nato o era
troppo piccolo35. Tornatore sottolinea a tale proposito che il film non è
autobiografico ma personale (Siani 2008 online). Dunque la memoria, i ricordi, i
rapporti fra il passato e il presente sono il fulcro della narrazione e il dialetto assume
il ruolo di filo conduttore.
Il film è stato prodotto originariamente in siciliano e così è stato proiettato in
Sicilia e in alcune sale cinema nelle grandi città italiane (con sottotitoli in italiano),
mentre nel resto dell’Italia è stato distribuito doppiato in italiano. Tornatore spiega
la preferenza per il doppiaggio rispetto al sottotitolaggio per il mercato nazionale
cinematografico con il desiderio di rivolgersi a tutta la popolazione italiana che «in
generale odia i sottotitoli nei film» (Pezzotta 2009 online).
Il cast di Baarìa è ricco di personaggi famosi (A. Molina, L. Sastri, M.
Bellucci, M. Placido, S. Ficarra, V. Picone e altri), ma i ruoli più importanti sono
stati affidati ai due attori debuttanti: F. Scianna (Peppino) e M. Madè (Mannina).
Entrambi sono siciliani, ma soltanto Scianna è bagherese, perciò parlando dei
problemi riscontrati nel corso della produzione dell’opera, Madè, nata nella
provincia di Catania, evidenzia innanzitutto la necessità di parlare in dialetto
bagherese (Di Bartolo 2009 online).
35
G. Tornatore è nato nel 1956.
38
Come si è affermato precedentemente (par. 2.2) le differenze fra i dialetti
siciliani non sono così rilevanti da doverli considerare come sistemi distinti;
comunque «i catanesi tendono a lasciare la frase aperta» – nota Tornatore in
un’intervista sul film – mentre i bagheresi la chiudono e, «rispetto al palermitano» i
dittonghi in bagherese sono meno strascicati (Pezzotta 2009 online), e inoltre
esistono delle differenze lessicologiche. Detto questo, si può parlare di un unico
dialetto siciliano, però i cittadini di Bagheria tendono a chiamare il proprio idioma
“bagherese” o addirittura “baariòto”.
Il regista di Baarìa giustifica la preferenza per il dialetto così: «Non mi veniva
in altro modo» (Cosi 2009 online). Sembra che in questa verosimiglianza assoluta
Tornatore continui le idee dei neorealisti che utilizzavano le varietà diatopiche come
uno dei mezzi fondamentali per veicolare la storia italiana attraverso il cinema
(cfr.par. 2.3). Ad esempio, La Terra trema di Visconti (1948), un film veristico in
assoluto, è stato realizzato interamente in siciliano.
Baarìa, quindi, è un’opera che rappresenta al massimo la sicilianità (sia in
generale che fra gli altri film tornatoriani36). La sicilianità è capita in questo senso
come insieme dei tratti caratterizzanti l’isola e gli isolani, fra cui soprattutto il
dialetto.
Nel resto d’Italia Baarìa è uscito doppiato in italiano, ma non si tratta qui di
un italiano standard. I dialoghi in italiano dell’uso medio sono fortemente
sicilianizzati, “sporcati” di dialetto che è stato lasciato in parte nella pronuncia e nel
lessico con una funzione macchietistica e di colore.
Nel prossimo paragrafo cercheremo di capire in primo luogo in quale misura il
doppiaggio italianizzato di Baarìa riesce a trasmettere il dialetto e il suo ruolo
fondamentale nella versione di partenza in bagherese. In secondo luogo
esamineremo come questo aspetto della sicilianità viene veicolato in russo.
36
Non è l’unico film di Tornatore ambientato in Sicilia. Cfr. Nuovo Cinema Paradiso (1998), Malena
(2000).
39
3.3. LA TRADUZIONE DELLA SICILIANITÀ NEL FILM BAARÌA DI G.
TORNATORE
Come abbiamo segnalato nel paragrafo precedente nella nostra analisi ci siamo
focalizzati sulla trasposizione della sicilianità. Durante la visione preliminare di
Baarìa abbiamo valutato la consistenza delle caratteristiche particolari che
compongono questa nozione all’interno dell’opera e abbiamo delineato gli eventuali
nuclei problematici che sarebbero potuti diventare oggetto di studio. Le visioni
successive finalizzate a confrontare i doppiaggi delle tre versioni prese in esame
hanno approfondito queste problematiche e ci hanno permesso di costruire un
corpus linguistico contenente degli esempi in siciliano stretto, italiano regionale e
russo.
Di seguito forniremo dei casi che ci sembrano i più rappresentativi e rilevanti
per lo studio traduttologico del trasferimento audiovisivo del dialetto. Queste
occorrenze saranno presentate a seconda del tipo di informazione che contengono.
Va specificato che il presente elaborato non prescinde dalla natura polisemiotica37
del cinema perciò lo studio del parlato filmico e della sua traduzione non può
trascurare il legame della componente verbale con quella visiva.
3.3.1. La traduzione del titolo del film
Malaguti scrive: «Il meccanismo della ricodificazione filmica inizia con il
titolo del film che, inteso come sequenza di segni che circolano nel mondo della
pubblicità e della promozione antecedente l’uscita della pellicola sugli schermi,
costituisce un luogo del tutto privilegiato nella catena discorsiva del film stesso»
(2001: 76). La traduzione del titolo rappresenta quindi un momento estremamente
importante.
37
Vedi par. 1.1.1. del capitolo 1 nel presente elaborato.
40
Ecco i titoli delle tre versioni prese in esame:
Tab.2
Baarìa
Baarìa
Баа́рия
Tornatore non è il primo regista italiano a mettere il dialetto nel titolo di
un’opera cinematografica. Basta ricordare i capolavori neorealistici di V. De Sica e
R. Rossellini, rispettivamente Sciuscià (1946) e Paisà (1946), che anche in Russia
hanno gli stessi titoli trascritti secondo le norme dell’ortografia locale: «Шуша́» e
«Пайза́». Tuttavia Paisà viene chiamato a volte, ma meno spesso, con la traduzione
russa della stessa parola dialettale, cioè «Земляк». Ovviamente tali denominazioni
non sono chiare per niente al pubblico russofono e richiedono delle spiegazioni 38.
Anche il titolo tornatoriano è stato salvato nella versione russa, ma a differenza
delle opere neorealistiche, ha cambiato l’accento che sia nell’originale sia nella
versione italianizzata suona “Baarìa” con la i accentuata anche nella scrittura.
Per un cittadino italiano non siciliano il titolo Baarìa non risulta opaco, visto
che il luogo che ha regalato il suo nome a questo film si chiama ufficialmente
Bagheria. Eppure la citazione del regista che abbiamo già riferito sopra («Bagheria,
che ho amato chiamare in dialetto» (Ferrara 2009: online), par.3.2) esplicita in
modo chiaro l’importanza di questo dialettismo nel titolo. Trattandosi di un’opera in
cui il dialetto serve da “pietra angolare”, lasciare il titolo originale è stata una scelta
fondamentale di Tornatore. La presenza dei nomi propri conferisce al testo
cinematografico una connotazione locale molto forte e inoltre questo dialettismo
geografico condiziona già dall’inizio le particolarità linguistiche del film.
Per quanto riguarda l’etimologia del nome Baarìa, esistono alcune
spiegazioni. La prima rimanda alla parola fenicia Bayharia: «zona che discende
verso il mare»39, la seconda all’espressione araba Bab-el-gherid, ovvero «porta del
vento»40.
38
Cfr., per esempio, la scheda del film Sciusià sul sito dic.academic.ru.
URL: http://dic.academic.ru/dic.nsf/ruwiki/1684434
39
Cfr. il sito Discover Sicilia. URL: http://www.discoversicilia.it/turismo-in-sicilia/turismo-apalermo/bagheria/
40
Ibidem.
41
Gorškova nota che il titolo filmico porta in sé dei tratti estremamente
importanti caratterizzanti l’intera stilistica dell’opera, cioè esso ha una forte
funzione comunicativa (2011: 28). Oltre a ciò, il titolo svolge la funzione
nominativa, quella identificativa, quella concettualizzante e quella attrattiva
(Ibidem). Considerata una certa autonomia del titolo filmico rispetto all’opera cui si
riferisce, dal punto di vista traduttologico il titolo può essere studiato come unità di
traduzione (Ivi: 32).
I toponimi vengono utilizzati abbastanza spesso per denominare un’opera
cinematografica: ad esempio in Paris, je t’aime (2005) e New-York, I love you
(2009). Parigi e New-York giocano qui il ruolo di simboli che creano una certa
atmosfera stereotipata prima ancora della visione delle pellicole. Tuttavia questo
approccio non può funzionare sul mercato russo nel caso di Baarìa. Già il toponimo
Bagheria è sconosciuto per un russo medio, se per di più consideriamo il nome
dialettale della città, questo risulta del tutto incomprensibile e non comunica
nessuna informazione.
La linguistica russa considera i toponimi fra i realia41 onomastici (Masl’akov
2011 online: 22-25). Come mezzo migliore per “trasportare” il toponimo
dall’originale alla traduzione S. Vlahov e S. Florin indicano la trascrizione che
consiste appunto nel trasferimento meccanico di una nozione con i mezzi grafici
della lingua di arrivo, ma che si avvale delle norme fonetico-fonologiche della
lingua di partenza (1980: 87). A tale punto la trascrizione diventa qui uno dei
veicoli per ricreare il colore nazionale dell’originale.
In questo senso il titolo russo Баа́рия è il risultato della trascrizione del realia
onomastico siciliano Baarìa. Nonostante questo titolo abbia un accento messo
anche nella scrittura, il doppiaggio russo lo perde e la prima cosa che sentiamo
all’inizio del film è una voce di sottofondo che pronuncia «Баа́рия» con l’accento
sulla seconda a. A proposito della domesticazione dei nomi propri Alekseeva scrive
che nella maggioranza dei casi l’accento nella parola tradotta si mette sulla sillaba
più comune per l’udito russo (2012: 233) che spesso porta a delle differenze con
41
I realia sono generalmente oggetti, nozioni o fenomeni che denotano cose tipiche di una cultura e non
hanno corrispondenze esatte nelle altre lingue (Vlahov, Florin 1980).
42
l’accento dell’originale. Basta ricordare i realia italiani in –ia già stabilizzati nei
dizionari russi in forma scorretta: пиццéрия (pizzeria), траттóрия (trattoria).
Anche i toponimi italiani cambiano spesso il loro accento: Берга́мо (Bergamo),
Ломба́рдия (Lombardia), Па́вия (Pavia). Secondo noi proprio sulla falsariga degli
ultimi due toponimi Baarìa con l’accento sulla i è diventato Baària nella traduzione
russa. Questa trasformazione crea delle confusioni, di conseguenza il titolo
tornatoriano fa pensare talvolta alla regione tedesca (Länd) di Baviera (Бавария in
russo), talvolta al capoluogo pugliese Bari (Бари).
Crediamo che tale scelta traduttiva non sia molto giustificata, anche se la
pronuncia Баа́рия sembra più russificata. Come toponimo che riflette l’idea
fondamentale di Tornatore – cioè realizzare un film in dialetto – Baarìa dovrebbe
essere lasciata in russo nella stessa forma, magari con il segno diacritico sulla ì, così
com’è nella versione originaria e in quella italianizzata. Questa strategia traduttiva
rappresenterebbe un caso di straniamento (foreignisation) del realia, ovvero un
procedimento che mantiene l’espressione dialettale nella traduzione russa invece di
addomesticarla (domestication)42, mantenendo un alto grado di esotismo, essendo il
toponimo Baarìa in ogni caso sconosciuto da un parlante russofono.
3.3.2. La trasposizione del repertorio linguistico
L’analisi approfondita di Baarìa ha mostrato che il repertorio linguistico del
film è realmente molto vario. Oltre al dialetto siciliano che è l’idioma centrale della
versione originale, nei dialoghi si riscontrano l’italiano regionale, l’italiano standard
e l’inglese degli alleati americani sbarcati in Sicilia. L’obbiettivo di questo
paragrafo è studiare come i doppiaggi italiano e russo di Baarìa rendono la diversità
linguistica dell’originale.
Nel doppiaggio distribuito al di fuori delle sale siciliane il dialetto si trasforma
in italiano regionale e confluisce nel resto delle battute che già nella versione
42
Sulle strategie di straniamento (foreignisation) e addomesticamento (domestication) rimandiamo a Ulrych
(2000: 127- 144).
43
originaria sono in lingua. Tuttavia non è possibile affermare che il dialetto venga
neutralizzato completamente, poiché esso è compensato soprattutto dalla fonetica e
dagli inserti lessicologici dialettali:
Tab. 3
17.27 PEPPINO: S’era io
‘nta quattru muzzicùni
mancu ‘i muddìcchi
lassava!
Se ero io in quattro
bocconi mancu ‘i
muddìcchi lasciavo.
ПЕППИНО: Я бы на
твоём месте все съел
за четыре укуса, и ни
крошки бы не
осталось!
L’esempio riportato sopra dimostra che il doppiaggio italianizzato mantiene
l’avverbio dialettale mancu, utilizzato in siciliano al posto di neanche, nemmeno
(Mortillaro 1838: 574), e la parola muddìcchi invece di briciole (Pasqualino 1789:
210), nonché viene lasciata la forma dell’articolo plurale siciliano ‘i.
Tuttavia la graduale neutralizzazione del dialetto nel doppiaggio italiano
livella talvolta alcuni momenti importanti per la narrazione. Ad esempio, nella
scena seguente:
Tab.4
3.06 MAESTRA:
Peppino Torrenuova,
tu perché non canti?
3.10 Chi ti cariù ‘a
lingua?
3.18 Unn’i mittìsti
libru e quaderni?
Parra!
3.24 Unn’è ‘u libru?
Rispunni sovversivo!
3.31 Cu ttià staju
parrànnu! Chi fini fici
‘u libru?
3.34 PEPPINO: Se
l’ha mangiato la
crapa!
3.36 MAESTRA:
Parra taliàno!
3.38 PEPPINO: Se
l’ha mangiato la
Peppino Torrenuova, tu
perché non canti?
УЧИТЕЛЬНИЦА:
Пеппино Торренуова, а
ты почему не поешь?
Ti è caduta la lingua?
Ты что язык проглотил?
Dove li hai messi il
libro e I quaderni?
Parla!
Dov’è il libro?
Rispondimi sovversivo!
Con te sto parlando!
Che fine ha fatto il
libro?
Se l’ha mangiato la
crapa!
Куда ты дел книжки и
тетрадки?
Parli italiano!
УЧИТЕЛЬНИЦА:
Отвечай по-итальянски!
ПЕППИНО: Его съела
коза!
Se l’ha mangiato la
crapa!
Где книжки? Отвечай,
диверсант!
Я с тобой говорю! Где
учебник?
ПЕППИНО: Коза
сожрала!
44
crapa!
3.40 MAESTRA: ‘A
crapa? Tu pigghi pi
fissa a mmìa?
3.46 Zitti vuàvutri!
Accuminciamu.
Singolare e plurale.
Lo scolaro.
‘A crapa? Tu prendi
per fessa me?
УЧИТЕЛЬНИЦА: Коза?
Ты что издеваешься?
Zitti vuàvutri!
Тихо!
Accuminciamu.
Singolare e plurale. Lo
scolaro.
Итак. Единственное и
множественное число.
Учебник.
Questo dialogo nella versione italianizzata elimina quasi completamente la
comicità dell’originale: la maestra che parla prevalentemente in dialetto sgrida
(«Parra taliàno!») Peppino perché lui le risponde in siciliano. Nel doppiaggio
italiano la maestra parla quasi esclusivamente in italiano regionale, con una
pronuncia siciliana e utilizzando dialettismi lessicali soltanto tre volte: «‘A crapa?»
(la crapa), «vuàvutri!» (voi altri), «accuminciamu» (cominciamo). Il più
significante risulta essere il terzo caso, poiché dimostra quanto sia improprio
l’italiano per la maestra stessa che ricorre qui al code-switching43, alternando il suo
idioma nativo – il siciliano – e la lingua impostata dallo Stato – l’italiano.
La traduzione russa perde interamente le particolarità appena descritte,
trasmettendo soltanto la colloquialità del dialetto nella risposta di Peppino con il
verbo russo volgare сожрать («Se l’ha mangiato la crapa!» – «Коза сожрала!»).
In genere, nel doppiaggio russo non si distinguono le varietà sociolinguistiche
presenti nelle altre due versioni a parte alcune “macchie” veicolate attraverso
espressioni tipiche della lingua parlata:
Tab. 5
43
4.53 LETTORE: Chi
scocca ri camurrìa.
Chi scocca ri camurrìa.
ЧТЕЦ: Достали!
18.41 TURIDDU: Ci ‘a
fa! Ci ‘a fa, ‘u
picciriddu! Ràtici u
tìempu!
33.36 FOTOGRAFO:
Fermo. E chi è tutta sta
Ci ‘a fa! Ci ‘a fa, ‘u
picciriddu! Ràtici u
tìempu!
ТУРИДДУ:
Помаленькупомаленьку! У
него всё получится
ФОТОГРАФ: Что
еще за ухмылка, не
Fermo. E chi è tutta sta
Vedi par. 2.1 del capitolo 2.
45
risata? Riri cchiù
picca...
risata? Riri cchiù picca...
надо рот до ушей!
Turover commenta a riguardo che i dialettismi vengono solitamente tradotti
con gli elementi linguistici della lingua di arrivo ritenuti stilisticamente adeguati
(1966 online: 94). Traducendo un testo scritto in dialetto bisogna sempre tener
conto che i sistemi dialettali di lingue diverse non sono compatibili e agiscono
secondo le proprie regole (Alekseeva 2012: 195). Dunque, per trasportare una realtà
dialettale occorre avvalersi di un criterio funzionale. Infatti uno dei ruoli dei dialetti
è trasmettere una certa familiarità o perfino un provincialismo che possono essere
tradotti con una deviazione della norma letteraria la quale ha la stessa funzione del
dialettismo originale nella lingua target (Ivi: 169). Questo approccio compensativo
non vale però quando il dialetto è l’idioma fondamentale della narrazione, quindi
quando l’autore cerca di autorizzare la varietà diatopica in qualità della lingua
scritta. Secondo Komissarov in un tale caso il dialetto non svolge una funzione
identificativa per il destinatario della traduzione e quindi dovrebbe essere tradotto
come qualsiasi altro testo della lingua nazionale (1990: 2016).
In Baarìa abbiamo una situazione ambigua. Se prendiamo in considerazione la
versione siciliana del film in cui il dialetto è l’idioma centrale, la traduzione
dovrebbe percepire il dialetto come se fosse l’italiano dell’uso medio, e quindi
tradurlo con russo standard senza ricorrere ai volgarismi forti. Ciononostante, già
nel film originario lo stretto dialetto bagherese convive con l’italiano regionale e
quello quasi letterario posti nella narrazione appositamente per caratterizzare alcuni
personaggi colti o ambienti in cui i parlanti dialettofoni privilegiano l’idioma
nazionale per diverse ragioni. Ad esempio, i funzionari più importanti del partito
comunista, fra cui il “compagno” Corteccia «colto e distinto» come specifica la
sceneggiatura, parlano esclusivamente in un italiano privo degli evidenti tratti
regionali:
Tab.6
1.09.06 CORTECCIA:
Bene. Vedo che hai al
Bene. Vedo che hai al
Хорошо. Как вижу,
46
tuo attivo incarichi
significativi, anche nel
sindacato. Ma io voglio
essere schietto e sincero,
compagno Torrenuova,
tu non hai scritto
neanche un libro!
tuo attivo incarichi
significativi, anche nel
sindacato. Ma io voglio
essere schietto e sincero,
compagno Torrenuova,
tu non hai scritto
neanche un libro!
ты занимал важные
должности. Работал
в профсоюзе. Но
должен сказать
честно, товарищ
Торренуова, ты не
написал ни одной
книги!
Ma anche i protagonisti – Mannina e Peppino – che durante tutto il film
tendono a utilizzare il siciliano stretto scelgono l’italiano letterario per scrivere le
loro lettere, essendo il dialetto un idioma parlato:
Tab.7
41.36 VOCE PEPPINO:
Io ti penso sempre, non
vedo l’ora di rincontrarti e
di stare assieme. Pure ho
deciso di venire a parlare
con i tuoi genitori.
44.17 VOCE MANNINA:
Tu dici che guadagni. Ma
i miei parenti hanno preso
informazioni da persone
assai fiduciose che dicono
che se uno senza arte né
parte...
Io ti penso sempre, non
vedo l’ora di
rincontrarti e di stare
assieme. Pure ho
deciso di venire a
parlare con i tuoi
genitori.
Tu dici che guadagni.
Ma i miei parenti
hanno preso
informazioni da
persone assai fiduciose
che dicono che se uno
senza arte né parte...
ГОЛОС ПЕППИНО:
Я всё время думаю о
тебе. Надеюсь
вскоре вернуться и
быть с тобой, и я
решил поговорить с
твоими родителями.
ГОЛОС
МАННИНЫ: Ты
пишешь, что хорошо
зарабатываешь, но
моя родня навела
справки, и свои
люди сказали, что
ты никчемный
человек.
Il doppiaggio russo non riflette questo fenomeno di alternanza del codice
linguistico, anche quando è in grado di farlo. Per esempio, mentre la frase
pronunciata dal lettore delle didascalie cinematografiche, andato su tutte le furie
durante una proiezione filmica perché gli spettatori si comportano male, viene
lasciata anche nella versione italianizzata in dialetto, in russo risulta essere molto
artificiosa e patetica, a causa della parola фарс che traduce il dialettismo siciliano
vastasàta («azione da maleducati», Bonfiglio 2015):
47
Tab. 8
4.50 LETTORE: Ora
basta cu sta vastasàta!...
Cu’ fu?
Ora basta cu sta
vastasàta!... Cu’ fu?
ЧТЕЦ: Прекратите
этот фарс! Кто это
сделал?
Invece, sarebbe stata più adeguata una corrispondenza russa colloquiale, del tipo
«Прекратите эту вакханалию!».
Un’altra lingua presente sia nell’originale sia nel doppiaggio è l’inglese,
lasciato così com’è, senza sottotitoli, che serve per rendere la confusione del
momento in cui gli alleati americani, sbarcati in Sicilia, pranzano nella casa di
Mannina:
Tab. 9
30.41 MANNINA: Ah, ‘a Ah, la cipolla! Mamà,
cipùdda! Mamà, vòli ‘a
vòli ‘a cipùdda!
cipùdda!
30.44 SOLDATO
AMERICANO: Yes! Yes! Yes! Yes! Cipùdda!
Cipùdda!
Аа, луковица! Мама,
он за луком пришёл!
Да-да, луковица!
È significativo l’utilizzo del dialettismo cipùdda da parte del soldato
americano, poiché dimostra come gli alleati, che non sanno l’italiano, riproducono
le parole dialettali sentite dai cittadini di Bagheria. Il dialettismo cipùdda non varia
molto dal vocabolo letterario italiano cipolla, e perciò viene mantenuto nel
doppiaggio offerto al di fuori delle sale siciliane. Invece l’edizione russa di Baarìa
perde il multilinguismo che, sarebbe potuto essere trasmesso in due modi: attraverso
la pronuncia all’americana – una tecnica utilizzata spesso dai comici in Russia e
conosciuta dai spettatori russofoni, oppure attraverso i sottotitoli in russo che
traducono il parlato non doppiato dei soldati.
48
3.3.3. La traduzione delle variazioni fonetiche
Nel quadro del cinema sonoro il livello fonetico-fonologico della lingua
ottiene una maggiore importanza, poiché il parlato è la componente filmica cui si
presta molta attenzione durante la visione di un’opera. Dal momento che la nostra
ricerca si concentra sul doppiaggio e non riguarda i sottotitoli non ci soffermiamo
sulle particolarità ortografiche (i segni diacritici, la trascrizione e la traslitterazione)
che implica l’utilizzo del dialetto, ma la pronuncia dei personaggi. Vinogradov nota
che la percezione sonora del parlato straniero crea un certo stereotipo fonetico di
una lingua nella coscienza dei recipienti (2001: 167) o degli spettatori nel nostro
caso. Quindi, per esempio, quando in un film russo capita un personaggio francese
ancora prima di sentirlo parlare aspettiamo la r moscia nelle sue battute.
Le ricerche sulla trasposizione del sistema fonetico-fonologico nei testi
letterari appaiono limitate e si assiste a una scarsità di studi dedicati a questo aspetto
nella prospettiva cinematografica. Tuttavia Turover considera il trasferimento della
pronuncia uno dei punti più problematici nella traduzione del dialetto (1966: 96).
Per quanto riguarda Baarìa, abbiamo segnalato molte volte che il dialetto
stretto siciliano è l’idioma chiave del film, ed in quanto tale si traduce come italiano
standard. Infatti molti studiosi sono convinti nell’impossibilità della trasportazione
delle particolarità fonetico-fonologiche dalla lingua di partenza in quella di arrivo
(Reutner 2011: 130). Quindi tradurre il siciliano attraverso, per esempio, una varietà
regionale del russo sarebbe assolutamente erroneo. Questo approccio è funzionale,
invece, quando si vuole salvare l’effetto comico che il dialetto crea nella versione
originale, e, di conseguenza, si trova o si costruisce un idioma paragonabile in
qualche misura a quello dell’originale. Lo dimostra il caso della commedia francese
Bienvenue chez les Ch’tis (Dany Boon, 2008), i cui traduttori per veicolare
l’opposizione tra il francese nazionale e la lingua piccarda hanno dovuto elaborare
una lingua artificiale – franzuržik – che, sulla falsariga del suržik44 combina il
lessico russo con la sintassi, la fonetica e la morfologia ucraine (Fedorova 2015
online: 56). La stessa metodologia è stata adoperata per tradurre in russo il remake
44
Un dialetto composto dal misto del russo e dell’ucraino.
49
italiano di questo film, ovvero Benvenuti al Sud (Luca Miniero, 2010): nel
doppiaggio russo i personaggi meridionali troncano le parole e utilizzano volgarismi
(«Сейча погодь, бельё поменя») contrastando con il parlato normativo dei
personaggi settentrionali .
In Baarìa non è necessario ricreare una comicità del dialetto, poiché esso ha
qui una funzione diversa: rispecchia la realtà linguistica di Bagheria come uno dei
simboli della sicilianità. Le diversità dell’accento mancano assolutamente nel
doppiaggio russo, di conseguenza il film perde questa sua caratteristica
fondamentale. Tuttavia, basandoci sulle ricerche di Gak (1966), Vinogradov (2001)
e Fedorov (2002), siamo convinti che si tratti di una scelta traduttologica dettata
dall’impossibilità di “trasportare” le specificità fonetiche del dialetto nella versione
doppiata. Per di più, uno spettatore russo medio non conosce il repertorio linguistico
dell’Italia, perciò non sarebbe in grado di cogliere le variazioni di accento.
A questo punto l’unico modo per trasmettere il ruolo del dialetto risulta essere
la compensazione. Questa tecnica traduttologica, secondo Vinogradov (2001: 85),
permette di ricostruire l’informazione “persa”, contenuta nei dialettismi fonetici e
importante per il “ritratto” sociale del personaggio, attraverso altri livelli linguistici.
Appare qui rilevante il riferimento ai concetti di equivalenza e adeguatezza
pragmatica della traduzione. L’equivalenza si raggiunge quando la decodifica
dell’originale è perfettamente fedele sul piano funzionale (la traduzione totale).
Invece l’adeguatezza parte dal presupposto che la traduzione (audiovisiva nel nostro
caso) richieda sacrifici e che nel processo traduttivo il traduttore sia costretto a
consentire certe perdite per veicolare il senso generale dell’opera. Quindi, nel
doppiaggio russo di Baarìa, l’assenza del caratteristico accento siciliano viene
compensata a livello lessicale da espressioni colloquiali:
Tab.10
1.07 1O GIOCATORE:
Veni ccà!
1.08 Si bbìeni prima
c’asciuca ‘a sputazza ...
16.45 PEPPINO: Ahi...
Ooh, chi bbùoi?
Veni ccà!
Se torni prima che
asciuga ‘a sputazza ...
Ahi... Ooh, chi bbùoi?
ПЕРВЫЙ ИГРОК:
Поди сюда!
Обернёшься
пока
плевок не высох …
ПЕППИНО: Чего
тебе?
50
Nel doppiaggio di Baarìa uscito in Italia al di fuori delle sale siciliane si
assiste ad un alto grado di italianizzazione dei dialoghi. Questa caratteristica si
ascrive nella tecnica di stilizzazione della traduzione che viene talvolta criticata per
essere imitativa ed avere qualcosa di falso. Tuttavia questo discorso non vale per la
realtà italiana in cui, come abbiamo mostrato precedentemente, l’idioma nazionale
convive con un grande numero di varietà nazionali. Dunque, il pubblico italiano non
dovrebbe percepire il mantenimento dei tratti dialettali nel doppiaggio italiano come
qualcosa di imitativo.
In Baarìa, anzi, la varietà regionale ha un forte significato connotativo capace
di creare associazioni ben precise nella mente degli spettatori. In genere, il
doppiaggio tende a neutralizzare le differenze regionali (Paolinelli, Di Fortunato
2012: 9-23). Tuttavia Reutner osserva che «con la rinuncia alla resa del dialetto,
informazioni essenziali vanno senza dubbio perse» (2011: 128). Nell’opera di
Tornatore la provenienza geografica dei personaggi va analizzata come un elemento
fondamentale su cui si basa tutto il concetto artistico del film. Dunque, il
doppiaggio italiano lascia i tratti caratteristici della pronuncia siciliana anche
quando il lessico è tradotto. Nella tabella che segue vediamo alcuni degli esempi più
rilevanti della pronuncia dialettale45 (a sinistra), riscontrati nei dialoghi seguiti dalle
spiegazioni (a destra):
Tab. 11
Firtru46 (filtro47), quattru (quattro), pronuncia cacuminale (retroflessa) dei
tri (tre), vostra, pietra, strada
nessi tr-, -ttr-, -dr-, -ddr- e str- (molto
vicino alla pronuncia inglese di r)
Bbello, bbùonu (bello), sùbbitu pronunzia forte di b-, d-, g-, -g-:
(subito), ddici (dice)
bbùoi (vuoi)
b all’inizio di parola corrisponde a v
Rùocci (rocce), cùosa (cosa), curri se la o è accentata diventa u oppure uo
(corri)
Comunista, onesto, prestate, sta, s davanti a consonante sorda si
stesso, stupido
pronuncia a metà strada tra s e sci,
quindi quasi [comuniscita] etc.
Filtru (filtro), mancu (manco), Alla fine di parola o si pronuncia
45
46
47
Vedi par. 2.2 del presente lavoro.
Le parole in dialetto sono evidenziate.
Qui e dopo la traduzione in parentesi è nostra.
51
Pippìnu
(Peppino),
(viaggio)
gguerra (guerra)
viaggiu come u con una lieve apertura
g raddoppia all’inizio di parola
In genere, i personaggi più importanti parlano in italiano regionale con una
fonetica siciliana assai forte, mentre la folla utilizza il dialetto. L’importanza della
pronuncia dialettale per il senso artistico dell’opera è mostrata anche dalla struttura
circolare dei dialoghi. La trama inizia e finisce nella stessa scena e la prima e
l’ultima battuta del film sono in siciliano stretto:
Tab.12
0.34 VOCI BAMBINI:
Minchia ch’è sùora! Talè! Talè!
2.24.58 PIETRO: Chista si ch’è
sùora! Talè! Talè!
Minchia ch’è sùora! Talè! Talè!
Chista si ch’è sùora! Talè! Talè!
3.3.4. La traduzione della grammatica dialettale
Nel
corso
della
ricerca
abbiamo
individuato
alcune
caratteristiche
grammaticali del siciliano che vengono mantenute nel doppiaggio italiano. Per
quanto riguarda la morfologia, sono soprattutto le forme dialettali48 degli articoli
singolari più comprensibili al pubblico nazionale, ovvero più vicini alle forme
italiane: u (maschile determinativo), ‘a (femminile determinativo), ‘na (femminile
indeterminativo):
Tab.13
1.08 1° GIOCATORE: Si bbìeni Se torni prima che asciuga ‘a
prima c’asciuca ‘a sputazza
sputazza
18.34 AFFARISTA: [...] ti scippu ‘a [...] ti scippu ‘a testa! Mancia!
testa! Mancia!
48
Il paradigma completo degli articoli siciliani appare così strutturato: u, lu, d, dd, (maschile determinativo
singolare); ‘a, la (femminile determinativo singolare); ddi, ‘i, li (maschile determinativo plurale); li , i
(femminile determinativo plurale); n, un, um (maschile indeterminativo singolare); na, una (femminile
indeterminativo singolare). Il siciliano non possiede la forma plurale dell'articolo indeterminativo (Bigalke
1997: 48).
52
37.24 PESCIVENDOLO: Tutta ‘na Tutta ‘na cosa sono!
cùosa su’!
12.06 CLIENTI: Servi prima ‘u zu Servi prima ‘u zu Carru.
Carru.
2.02.33 PEPPINO: ‘U nannò Ciccu ‘U nannò Ciccu [...]
[...]
Intatte sono rimaste alcune preposizioni:
Tab. 14
CARRU MINÀ: Un chilu ri bollitu.
Un chilu ri bollitu.
IGNAZIO: Vivu a’ saluti ri Renatu Vivu a’ saluti ri Renatu Guttusu!
Guttusu!
AFFARISTA: Fammi una mafàjda Fammi una mafàjda cu ottu pamìelli!
cu ottu pamìelli!
Il doppiaggio italiano mantiene alcune strutture morfologiche del verbo
siciliano49, e sono perlopiù le forme della prima persona plurale: amunì (andiamo),
avvicinàmunni (avviciniamoci), vincìemu (vinciamo). Queste occorrenze dialettali
con la desinenza -mu sono vicine alla forma normativa che finisce in –iamo, e
perciò risultano chiare ad un medio spettatore italiano. Basile scrive a proposito di
amunì nel suo Dizionario sentimentale della parlata siciliana che la traduzione di
questa parola gli «sembra superflua» (2009: 16), per questo essa non dovrebbe
causare problemi di comprensione. Inoltre si riscontrano delle forme tronche (vo’ –
vuoi) che diventano chiare dal conteso. Lo stesso si può dire del verbo murìu, molto
vicino alla forma letteraria morì. Osserviamo gli esempi:
Tab.15
49
18.10 NINO: Amunì, za Ciccina
Amunì, za Ciccina
43.15 COMPAGNI: Compagni,
Compagni, avvicinàmunni ca
avvicinàmunni ca cuninciàmu!
cuninciàmu! Amunì.
Per approfondire la morfologia verbale in siciliano rimandiamo a Bigalke (1997: 55-57).
53
Amunì.
58.10 NINO: Tantu, ‘un vincìemu
Tantu, ‘un vincìemu mai...
mai...
30.12 NINO: [...] E mi vo’
[...] E mi vo’ ammazzare tu!
ammazzari tu!
46.16 VOCE UOMO: Petru Lanza
Petru Lanza murìu!
murìu!
La particella negativa non diventa nel siciliano ‘un:
Tab. 16
20.03 LUIGI: Minchia ‘un la sapi.
Minchia ‘un la sapevo.
58.10 NINO: Tantu, ‘un vincìemu Tantu, ‘un vincìemu mai...
mai...
Bigalke nota a riguardo che talvolta la dentale finale –n «si assimila alla natura del
fonema labiale seguente e diventa la labiale nasale –m» (1997: 77).
Il doppiaggio italiano trasporta dalla versione originaria anche alcuni pronomi
dialettali: quelli dimostrativi chista (questa), chisti (questi):
Tab. 17
1.20.37 PEPPINO: Talè ch’è bella Talè che bella chista [...]
chista [...]
30.42 SARINA: Chisti?
Chisti?
e il pronome interrogativo chi invece di che/che cosa:
Tab.18
1.05.05 ANGELA: Chi ddici?
Chi ddici?
31.44 MANNINA: Ma chi è?
Ma chi è?
SARINA: Miii un paracarùti!
È un paracadute!
54
Per quanto riguarda la sintassi, nei dialoghi si osserva il capovolgimento
dell’ordine delle parole nella frase. Infatti il dialetto siciliano presuppone l’ordine
diverso da quello tradizionale SVO. Solitamente un ordine dipende dalle ragioni
prosodiche e si focalizza sull’elemento più importante:
Tab. 19
46.30 TANA: risigato è
risigato è (invece di “è risicato”)
Si assiste anche alla dislocazione a destra e a sinistra, un fenomeno assai
caratteristico del dialetto siciliano, che può spostare all’estremità destra o sinistra
della frase qualsiasi elementto sintattico:
Tab. 20
07.44 DON GIACINTO: [...] ‘Un ‘Un nni voglio camurrìi a’ mè casa.
nni vùogghiu camurrìi a’ mè casa.
08.16
DON
GIACINTO:
[...] [...] Dovevano essere dieci i panara!
Avevanu a èssiri reci, i panara!
Generalmente il siciliano privilegia il passato remoto al passato prossimo
anche quando si tratta di azioni avvenute vicino al presente. Per esempio, nella
scena in cui è appena morto un personaggio sentiamo una voce maschile di
sottofondo:
Tab 21
46.16 VOCE UOMO: Petru Lanza
Petru Lanza murìu!
murìu!
In alcuni casi si riscontra perfino una mescolanza dei due tempi del passato
nelle battute adiacenti:
Tab. 22
55.03 PEPPINO : Scusassi, forse non Scusassi, forse non ho capito ...
ho capito...
GIACOMO: Lei capìu perfettamente Lei capì perfettamente
55
19. 41 PARROCO: E la Santissima
E la Santissima Vergine l’ha
Vergine l ‘a truvàsti ?
truvàsti?
GUTTUSO : Sì rui, bellissime.
Sì, due, bellissime.
PARROCCO : Come rui? La
Come due? La Santissima Vergine
Santissima Vergine sempri una ha
sempre una è stata.
statu.
Un’altro tratto tipico del siciliano che viene trasportato nel doppiaggio italiano
è l’utilizzo della forma di cortesia costruita attraverso il congiuntivo imperfetto:
Tab. 23
39.59 PEPPINO : Signorina, ce lo
Signorina, ce lo posso offrire un
posso offrire un bombolone ? O pure
bombolone ? O pure una minnùlàta ?
una minnùlàta ? Non facesse
Non facesse complimenti.
complimenti.
Occorre precisare che le forme grammaticali del dialetto che vengono
trasportati
dall’originale
alla
versione
italianizzata
non
impediscono
la
comprensione degli episodi singoli e del testo filmico globale. A nostro parere,
questi dialettalismi, senza disturbare l’attenzione dello spettatore, gli consentono di
percepire un forte distacco dalla norma linguistica nazionale.
Dal momento che il russo è un sistema linguistico completamente differente
da quello dell’italiano e del dialetto siciliano, il doppiaggio russo non è in grado di
trasmettere le caratteristiche morfologiche e sintattiche dell parlato originario di
Baarìa. In genere, le strutture grammaticali della traduzione russa tendono alla
lingua standard, perciò la diversità linguistica a questo livello viene quasi
completamente neutralizzata.
56
3.3.5. La traduzione del lessico dialettale
Nel corso della ricerca si è rivelato che il piano lessicale di Baarìa presenta
una maggiore varietà di dialetismi rispetto agli altri livelli linguistici presi in esame.
Sulla falsariga di Grochowska (2012) evidenziamo alcune parole diventate
apparentemente eticchette dell’identità siciliana e di conseguenza conosciute fuori
Sicilia: amunìnni o amunì
(andiamo!, forza!),
picciriddu (bambino, piccolo),
minchia ed eventuali derivati (una parollaccia che letteralmente denota l’organo
sessuale maschile, si usa anche come esclamazione di rabbia o stupore), picciotti
(ragazzo), camurrìa (fastidio, noia, Basile 2009: 36), picciuli (spiccioli). Questi
dialettismi racchiudono in sé una forte connotazione stilistica e vengono lasciati
senza alcuna traduzione nel doppiaggio italiano.
Gli altri esempi lessicali sono stati raggruppati nei blocchi semantici che
analizzeremo qui di seguito. Ogni blocco dimostra nelle tabelle le battute più
rappresentative dal punto di vista dell’aspetto dialettale che trasmettono. Le parole
in siciliano vengono evidenziate e scritte in corsivo.
I nomi propri
Tab.24
5.50 FOLLA: Forza
Ciccu! Bravo Ciccu!
40.50 MINICU: Vabbè zu
Ciccu
08.09 NINO: O’ zu Ciccu
Turrinòva.
37.16 PEPPINO:
Ninu!
30.05 CICCO:
Pippinièddu
16.23 MASTRU
PALUZZU: Pippèj,
rammìnni tri quartie ci ‘u
lassi nni mè mugghieri.
Forza Ciccu! Bravo
Ciccu!
Vabbè zu Ciccu
-
O’ zu Ciccu
Turrinòva.
НИНО: Чикко
Торренуова.
ПЕППИНО:
Нино!
-
20.49 TURRIDU: Sssss!
Sssss! Pippinìeddu tu
Ninu!
Pippinièddu
Pippèj, rammìnni tri
quartie ci ‘u lassi nni
mè mugghieri.
-
МАСТЕР
ПАЛУЦЦУ:
Пеппино, сделай мне
три четверти для
жены.
57
Pippinìeddu tu vattìnni
vattene va.
va.
25.30 CICCO: Curri
Curri Pippìno!
Pippìno! Rusulìa puru tu! Rusulìa puru tu!
16.30 CICCO: Pippìnu,
comu ‘i vo’ fatti?
16.19 PEPPINO: Mastru
Paluzzu!
21.04 BARBIERE:
Ssssssst! Taliàti sti tri
ravànti nni ‘Gnaziu…
21.06 STRANO TIPO:
Vossìa è ron Agnaziu ‘u
poeta?
31.23 VICINA:
Manninè!
Pippìnu, comu ‘i vo’
fatti?
ЧИККО: Беги,
Пеппино! Розалиа,
быстрей!
ЧИККО: Пеппино,
как стричь?
Mastru Paluzzu!
Ssssssst! Guardate sti
tre davanti a
‘Gnaziu…
Voi siete è ron
Agnaziu il poeta?
ПАРИХМАКЕР: Вот
те трое у Иньяцио…
Manninè!
СОСЕДКА: Маннина!
СТРАННЫЙ ТИП:
Вы Иньяцио, поэт?
Tutti i nomi propri, compresi i loro diminutivi, vengono collocati nella
categoria di antroponimi (Ermolovič 2001: 42). Gli antroponimi riscontrati in
Baarìa tendono a seguire le regole fonetico-fonologiche del dialetto siciliano50: così
le forme italiane Cicco, Nino, Peppino, Ignazio, Rosalia (il diminutivo da Giuseppe)
diventano in dialetto Ciccu, Ninu, Peppinu, ‘Gnaziu, Agnaziu, Rusulìa .
Il siciliano possiede inoltre un sistema sviluppato di derivati dei nomi propri
interi che portano diverse connotazioni emotive: Pippinièddu, Pippèj, Pippìnu (da
Peppino), Manninè (da Mannina). Nel testo filmico sono presenti inoltre alcuni
degli appellativi tradizionali siciliani di rispetto ron (don), mastru (maestro) e
l’appellativo di affettuosità zu’ (zio). Dal momento che l’italiano nazionale e il
dialetto sono due sistemi linguistici assai vicini, queste forme possono essere
trasportate senza adattamenti nel doppiaggio italiano, mentre la traduzione russa
richiede delle trasformazioni traduttologiche. Sarebbe erroneo cercare una
corrispondenza onomastica, cioè un nome che ricrei una forma fonologica più o
meno vicina all’originale (Ermolovič 2001: 35), poiché i derivati italiani hanno un
aspetto ben localizzato e non si sono stabilizzati nella tradizione letteraria russa.
Quindi, il traduttore deve tener conto che il paradigma dei nomi propri non sempre
50
Vedi par. 2.2 del presente lavoro.
58
può essere compreso dallo spettatore. Nel doppiaggio russo di Baarìa i nomi
vengono privati dalla pronuncia dialettale, quindi non cambiano mai e si utilizzano
nella stessa forma neutra durante tutta la narrazione (Peppino, Mannina, Ignazio,
Cicco) o addirittura vengono omessi in alcune scene.
Il turpiloquio
Tab. 25
10.05 NINO: Ppù
curnutu!
37.19 Nino: curnutu!
Ppù cornuto!
Ублюдок!
Curnutu!
-
19.31 1O PESCATORE:
Curnuti e bastuniàti!
Curnuti e bastuniàti!
-
E curnutàzzu! Ma va fa
‘nculu
Cornutaccio
Вот мошенник!
Сукин сын
Козёл
Crastunìeddu.
Мошенник!
Pezzu ri mmerda!
-
28.33 GIACOMO:
E curnutàzzu! Ma va fa
‘nculu
1.40.30 PEPPINO:
Pezzu ri crastu
08.20 DON GIACINTO:
Crastunìeddu.
08.32 NINO: Pezzu ri
mmerda!
9.36 PODESTÀ: Va’
pigghiatìlla ‘nculu.
14.31 PEPPINO:
Minchiùni
7.39: RAGAZZA
OLIVE: ‘Assa va tocca a
sò sùpru, rribusciàtu!
30.27 SARINA: Ma va
runa ‘n culu!
35.54 Si’ ‘na negghia!
Minchiùni
Toccate a vostra sorella,
faccia di porco!
Пускай в жопу себе
язык засунет!
Проклятье! Она и в
правду сжевала!
Cестру свою лапай,
извращенец!
Ma va runa ‘n culu
Да пошел ты!
Sei un cane!
Ты бестолочь!
Va’ pigghiatìlla ‘nculu.
Come è stato indicato precedentemente, i dialoghi di Baarìa riflettono la realtà
linguistica di un piccolo paese e il turpiloquio è una sua componente
imprescindibile. Le parolacce fanno appello alle tradizioni culturali della lingua di
59
partenza perciò difficilmente trovano un equivalente in russo appropriato in una
data situazione. Questo causa l’omissione del turpiloquio in alcune battute: come
negli esempi 1, 2 e 7.
Per di più, le espressioni oscene di regola sono tabuizzate dall’interdizione
linguistica per cui il loro impiego «viene ritenuto inadatto al contesto pubblico e
spesso viene semplicemente evitato» (Pavesi — Malinverno, 2000: 75). Tuttavia
tutte queste parolacce trasmettono una forte carica emotiva perciò sono importanti
per la narrazione cinematografica, soprattutto nel nostro caso, quando si tratta del
turpiloquio dialettale.
Osserviamo
che
il
doppiaggio
italiano
di
Baarìa
mantiene
quasi
completamente parolacce in dialetto, perché quest’ultime sono abbastanza vicine
all’italiano e caratterizzano molto fortemente il parlato. L’analisi ha mostrato che la
parola più usata sia nell’originale sia nella versione italiana è cornutu (cornuto) ed i
suoi derivati, che non trova un equivalente preciso in russo perciò il traduttore
ricorre alla compensazione e utilizza le parolacce russe козёл, ублюдок e
мошенник, che a nostro avviso, perdono (soprattutto le ultime due) la carica
emotiva dell’originale. Infatti le parole ублюдок, мошенник, мерзавец, бестолочь
ed altri simili aderiscono alle cosiddette “routine traduttive” o “trasformazioni
stereotipate” e il suo impiego improprio può portare alla inespressività del parlato. È
molto probabile che un parlante nativo russo avrebbe cambiato queste parolacce con
espressioni differenti. Invece il dialettismo pezzu ri crastu (da crastu – “montone”,
Mortillaro 1853: 225, utilizzato nel senso di cornuto) trova in russo un omologo
molto vicino – козёл, anche se la traduzione баран ci sembra più corrispondente in
questo caso.
Alcune parole oscene suonano bene in dialetto (rribusciàtu) ma i loro
equivalenti in italiano risultano inadeguati (debosciato), tali occorrenze vengono
tradotte in modo descrittivo con le espressioni diverse ma molto vicine per il senso:
faccia di porco. Invece il doppiaggio russo si riferisce in questo caso direttamente al
dialettismo originale (извращенец).
Talvolta il traduttore attenua un significato molto forte del turpiloquio
dialettale: per esempio, minchiùni (il derivato siciliano da minchia – pene) si
60
traduce con l’omologo neutro проклятье. Comunque esistono pochi casi in cui si
possono trovare corrispondenze equivalenti, più spesso il traduttore di Baarìa deve
cercare una resa adeguata alla cultura di partenza nella gamma di parolacce russe.
Le interiezioni
Le interiezioni e le esclamazioni sono espressioni che vengono utilizzate per
esprimere lo stato d’anima ed emozioni. Le interiezioni che abbiamo raggruppato
qui sono i derivati, ovvero le interiezioni secondarie o locuzioni espressive, che non
hanno ancora perso completamente la loro semantica – il fatto che, secondo
Alekseeva, permette al traduttore di cercare un equivalente semantico in russo
(2012: 191). Nel nostro caso gli equivalenti sono privi di caratteristiche dialettali
ma si inseriscono bene nei dialoghi doppiati.
Tab. 26
0.34 VOCI BAMBINI:
Talè! Talè!
46.53 MANNINA: Ma
nsama’ Ddiu!
1.01.30 MANNINA:
Beddamàtri!
Talè! Talè!
Ma nsama’ Ddiu!
Beddamàtri!
ГОЛОСА ДЕТЕЙ:
Давай-давай!
МАННИНА:
Боже упаси!
МАННИНА:
Матерь божья!
Occorre osservare che le espressioni dialettali beddamàtri e ma nsama’ Ddiu
trovano gli equivalenti dotati dello stesso significato in italiano (mamma mia, dio
mio etc.), ma vengono trasportati fedelmente nel loro aspetto dialettale.
L’espressione tipica talè! talè! (letteralmente guarda! guarda!, ma usata nel
contesto come forza! dai!) apre e chiude la trama, poiché e quello che gridano i
bambini giocando con la sfera di legno all’inizio e alla fine del film.
61
I realia
I realia, secondo Vlahov e Florin sono «parole (e locuzioni composte) della
lingua popolare che costituiscono denominazioni di oggetti, concetti, fenomeni
tipici di un ambiente geografico, di una cultura, della vita materiale o di peculiarità
storico-sociali di un popolo, di una nazione, di un paese, di una tribù, e che quindi
sono portatrici di un colorito nazionale, locale o storico»51 (1980: 438). I realia,
quindi, non hanno equivalenti precisi nelle altre culture e lingue e se vengono
“trasportati” nel testo di arrivo in modo scorretto, perdono completamente la
connotazione culturale dell’originale. In senso lato i toponimi e gli antroponimi
esaminati precedentemente aderiscono ai realia.
Per tradurre un realia si può ricorrere alla strategia di straniamento
(foreignisation) – lasciare un termine così com’è – o a quella di addomesticamento
(domestication), cioè accogliere un realia o trovare un equivalente nella lingua di
arrivo (Ulrych 2000). I casi di addomesticamento sono, ad esempio, l’adattamento
culturale e l’omissione del realia (il grado massimo di addomesticamento).
Da un lato, tradurre i realia nella prospettiva cinematografica diventa più
facile: anche se il traduttore non conosce un realia può utilizzare le immagini per
rintracciare il suo significato. Da un altro lato, la traduzione risulta essere più
vincolata, sempre perché i realia si riflettono anche visivamente e di conseguenza
non possono essere omesse. Un’altra difficoltà è quella che a differenza di un’opera
cartacea nel doppiaggio non si possono utilizzare le note a piè di pagina per
spiegare un fenomeno, come pure non risulta possibile rendere un realia tramite la
sua trascrizione.
È chiaro che la traduzione dei realia è sempre un processo convenzionale
poiché queste nozioni sono di regola intraducibili e vengono trasmesse non
attraverso la traduzione strictu sensu (Vlahov, Florin 79). Questo significa che i
realia vengono tradotti in modo descrittivo, oppure sostituiti approssimativamente
con un realia della lingua target (Ivi: 90). Normalmente in questi casi si privilegia
una nozione neutra dal punto di vista stilistico.
51
La traduzione è di Osimo (2004: 64).
62
L’analisi del nostro corpus linguistico ha rivelato che i realia dialettali presenti
in Baarìa si riferiscono soprattutto al cibo:
Tab. 27
17.27 PEPPINO: E
quantu cu miètti a
manciàrisi ‘na
mafàjda? S’era io ‘nta
quattru muzzicùni
mancu ‘i muddìcchi
lassava!
17.22 NINO: Pani e
panìelli
17.36 AFFARISTA:
Fammi una mafàjda
cu otto panìelli!
E quanto ci mettete a
mangiare ‘na mafajda?
Se ero io in quattro
bocconi mancu ‘i
muddìcchi lasciavo.
10.53 CICCO: […]
facìemu tru cascavaddi
e quattru tumazzi.
40.02 PEPPINO:
Signorina, ce lo posso
offrire un bombolone?
40.04 PEPPINO: O
pure una minnulàta?
40.03 OMINO: O ‘na
caramìela a’
carrùbba, o puru
n’avutra cùosa...
[…] facciamo tre
caciocavalli e quattro
primosale.
PEPPINO: Signorina,
ce lo posso offrire un
bombolone?
Pani e panìelli
Fammi una mafàjda cu
otto panìelli!
O pure una minnulàta?
O ‘na caramìela a’
carrùbba, o puru
un’altra cosa...
ПЕППИНО: Сколько
можно есть одну
булку! Я бы на твоём
месте все съел за
четыре укуса, и ни
крошки бы не
осталось!
НИНО: Булка с
оладьями
ПРЕДПРИНИМАТЕЛ
Ь:
Сделай мне булку с
восемью оладьями!
ЧИККО: […] давай
так: три коровьих
сыра, четыре овечьих.
ПЕППИНО:
Синьорина, могу я
предложить Вам
пончик?
Может быть, миндаля?
ПРОДАВЕЦ:
Конфеты! Сладкие
рожки!
Ovviamente un film dialettale sulla vita quotidiana di un popolo non può fare
a meno di tali riferimenti culturospecifici. I realia legati al cibo in Baarìa sono tutti
di origine siciliana e denotano quindi le specialità della cucina isolana. A parte il
terzo esempio, in cui le denominazioni di formaggio cascavaddi e tumazzi vengono
addomesticate, il doppiaggio italiano tende a mantenere il lessico e la pronuncia
dialettali. Vediamo come gli stessi realia vengono trasportati in russo.
La mafàjda (o in italiano mafalda) è un antico e tipico cibo di strada siciliano
che rappresenta «un panino [...] con la caratteristica forma a serpentina ravvicinata;
senza o con tanti semi di sesamo [...] con una struttura morbidissima»52. Nel
52
La definizione è presa dal sito Giallo Zafferano.
63
doppiaggio russo la mafalda perde tutte le sue caratteristiche diventando un
semplice pane o panino bianco dolce (булка). In Sicilia la mafalda solitamente
viene mangiata farcita di panelle (panìelli) che «sono delle gustose e sfiziose
frittelle rotonde fatte di farina di ceci, tipiche di Palermo [...] »53. L’analogo
funzionale trovato dal traduttore – булка с оладьями – perde assolutamente tutti i
tratti locali di questa specialità, nonché non fornisce una spiegazione adeguata, in
quanto la parola оладья si associa nella mente degli spettatori russi a qualcosa di
dolce che si mangia normalmente a colazione, cioè sarebbe una traduzione
appropriata per il francesismo crêpes. Invece le panelle sono sempre salate e molto
più fritte rispetto a оладья. Come conseguenza di questa discrepanza semantica
l’espressione булка с оладьями risulta incomprensibile e perfino buffa nel contesto
culturale russo, poiché è difficile immaginare che qualcuno mangi un panino dolce
farcito di crespelle dolci.
Il caciocavallo è un «formaggio tipico dell’Italia meridionale, a pasta dura,
dolce o piccante, in forme simili a grosse pere allungate, fatto con latte intero di
vacca»54. Quindi, questo realia si riferisce ad un tipo e non alla classe intera di
formaggi vaccini (коровий сыр). Il tumazzu55 è invece un formaggio siciliano che
viene prodotto con un misto di latte vaccino e ovino. La traduzione russa – овечий
сыр – parte apparentemente dal termine primosale utilizzato nel doppiaggio
italiano, che indica un grado di stagionatura del pecorino.
Il dolce tipico palermitano minulàta è una specie del classico torrone di
mandorle56. L’equivalente russo миндаль priva il realia siciliano di qualsiasi
connotazione. Prima di tutto non è chiaro se si tratta di mandorla salata o dolce o
caramellata etc. In un testo scritto si potrebbe trascrivere il realia (минулата),
offrendo in nota una spiegazione, però le particolarità del linguaggio filmico non lo
consentono. A nostro avviso, la soluzione più adatta sia aggiungere una parola
descrittiva che chiarisca il contesto: del tipo захаренный миндаль.
URL: http://blog.giallozafferano.it/passioneperilcibo/mafalda/
Cfr. URL: http://ricette.giallozafferano.it/Panelle.html
54
Cfr. URL: http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=caciocavallo
55
Cfr. URL: http://www.formaggio.it/formaggio/tumazzu-di-vacca-p-a-t/
56
Cfr. URL: http://www.lapasticciona.it/2011/04/minnulata-palermitana-torrone-di-mandorle/
53
64
Nell’ultimo esempio si assiste al fenomeno di omissione traduttologica:
evitando gli eventuali problemi di comprensione, si esegue una traduzione parziale
che veicola soltanto la prima parte del realia (caramelle – конфеты). La carruba è
un albero le cui frutta benefiche si utilizzano per produrre caramelle, liquori e
medicinali57. L’equivalente russo di carruba – рожковое дерево – è poco
conosciuto in Russia, di conseguenza il traduttore, che probabilmente non ha
trovato nessuna corrispondenza capace di sostituire il nome della pianta, ha omesso
la seconda parte del realia. L’omologo russo della prima parte del realia конфеты
ci sembra molto generico, in quanto denota soprattutto i cioccolatini e non “pastiglie
di zucchero con aromi diversi” – la connotazione racchiusa nell’originale siciliano.
Secondo noi la traduzione più vicina sarebbe stata леденцы.
I modi di dire
I modi di dire vengono tradotti come espressioni indivisibili, poiché il loro
significato non evince dai significati dei singoli elementi che li compongono. In
questa prospettiva una traduzione letterale risulta assolutamente impossibile ed è,
dunque, la locuzione intera che diventa unità di traduzione (Barhudarov 1975: 182).
Secondo Vlahov e Florin queste particolarità fanno sì che i modi di dire risultino
particolarmente difficili da tradurre (1980: 179-180).
Tab. 28
48.26 MANNINA: Ma è
un cani loccu
Ma è un cani loccu!
МАННИНА: Да он
из ума выжил!
21.58 IGNAZIO: Chi vi
scattàssi ‘u cùori!
Chi vi scattàssi ‘u
cùori!
ИНЬЯЦИО: Чтобы
вас разорвало!
Stavolta la vedo
ТУРИДДУ:
Теперь всё совсем
20. 41 TURIDDU:
Stavùota ‘a vìu propriu
57
Cfr. URL: http://www.dolcisiciliani.net/ricette/caramelle-alla-carruba/
65
nìvura!
propriu nìvura!
худо!
11.08 CICCO: Va’ a’
vuscati ‘u pani,
Pippinìeddu.
Va’ a’ vuscati ‘u pani,
Pippinìeddu.
ЧИККО: Пора
зарабатывать на
хлеб.
2.18.36 PEPPINO:
Vabbè... Va’ vuscati ‘u
pani.
Vabbè... Va’ vuscati ‘u ПЕППИНО: Ну
pani.
ладно, отправляйся
зарабатывать себе на
хлеб.
Dalla tabella si deduce che le espressioni idiomatiche dialettali vengono
lasciate intatte nel doppiaggio italiano, ad eccezione del terzo esempio in cui cambia
la forma del verbo siciliano (‘a vìu) verso quella più chiara (la vedo) al pubblico
nazionale. Si osserva inoltre che il doppiaggio russo trova gli omologhi assai vicini:
così chi vi scattàssi ‘u cùori viene reso con una piccola recessione (il fraseologismo
russo non contiene la parola сердце) con il verbo che racchiude lo stesso significato
(разорвать), rafforzato dalla particella, impiegata normalmente per augurare
qualcosa di brutto (Melikian 2013: 351).
La frase va’ vuscati ‘u pani (dal verbo siciliano vuscari – “guadagnare”,
Mortillaro 1853: 940), detta prima dal padre di Peppino a lui all’inizio del film e poi
da Peppino a suo figlio alla fine della narrazione, viene veicolata attraverso un
modo di dire corrispondente russo зарабатывать на хлеб. In questo caso abbiamo
a che fare con un equivalente assoluto nella lingua di arrivo (Vlahov, Florin 1980:
184).
Le espressioni che subiscono maggiori trasformazioni nel doppiaggio russo
sono la prima e la terza. Se il sicilianismo un cani locu viene trasportato nel
doppiaggio italiano, essendo vicino alla traduzione italiana cane locco (sciocco,
stupido), il traduttore russo, non trovando un analogo esatto, utilizza un
corrispondente che trasmette la semantica dell’originale: выжить из ума. Per
quanto riguarda il terzo esempio, la frase «всё совсем худо» è una traduzione
descrittiva (Ivi: 183), cioè una traduzione che veicola il senso del modo di dire con
mezzi non fraseologici.
66
Nonostante Vlahov e Florin notino una generale intraducibilità di locuzioni
idiomatiche (Ibidem), osserviamo che il doppiaggio russo veicola assai fedelmente
tali espressioni. La spiegazione, secondo noi, è quella che un’opera cinematografica
destinata al mercato nazionale presuppone frasi chiare e conosciute da un pubblico
più vasto, che di conseguenza trovano un analogo nelle culture diverse.
In genere, dopo questa analisi della resa del lessico dialettale nei doppiaggi di
Baarìa, diventa chiaro che l’edizione italiana trasporta senza forti cambiamenti
diversi concetti, realia e nozioni culturospecifici siciliani dell’originale, mentre il
doppiaggio russo tende ad adattarli con un grado massimo di addomesticamento.
67
CONCLUSIONI
In questo lavoro di ricerca ci siamo occupati delle problematiche legate alla
traduzione audiovisiva nel quadro della realtà linguistica italiana, che implica molte
difficoltà dovute alla presenza di diverse varietà diatopiche sul territorio nazionale.
L’elaborato è basato sulle tre versioni del film Baarìa (2009) di Giuseppe
Tornatore: l’originale in dialetto siciliano, il doppiaggio italianizzato distribuito
nelle sale cinematografiche non siciliane e il doppiaggio russo. Dal momento che i
dialoghi in siciliano sono quasi completamente incomprensibili per chi non
padroneggia questo idioma, abbiamo utilizzato come punto di riferimento la
sceneggiatura di Baarìa scritta da Tornatore e edita da Sellerio (2009) come libro
autonomo contenente tutte le battute del film.
L’oggetto del nostro interesse sono stati i dialoghi dei tre doppiaggi di Baarìa
che abbiamo sottoposto ad un’analisi comparativa finalizzata a delineare la
possibilità di trasposizione del dialetto siciliano nelle traduzioni. Siamo partiti dal
presupposto che questa varietà sociolinguistica giochi un ruolo fondamentale
nell’economia di Baarìa come uno degli aspetti imprescindibili dell’identità degli
isolani.
Abbiamo cominciato il nostro lavoro con uno studio teorico, per configurare
una base solida a cui poterci riferire. Il punto di partenza consiste nel delineare le
nozioni chiave della traduzione audiovisiva (TAV) attraverso una sintesi delle
ricerche internazionali e russe più significative in questo settore. Abbiamo avuto
modo di verificare che in Russia la TAV non si è ancora formata come una
disciplina scientifica, professionale e universitaria ben delimitata, sebbene si noti un
interesse sempre crescente verso le sue problematiche in parte diverse da quelle
della traduzione letteraria.
Il secondo capitolo, sempre teorico, è dedicato al rapporto fra il dialetto e il
cinema italiano. Tuttavia, prima di passare a questo argomento abbiamo esposto
alcune osservazioni sul repertorio linguistico dell’Italia composto dall’idioma
68
nazionale e, dai numerosi dialetti e italiani regionali. Prestando una maggiore
attenzione alle caratteristiche del siciliano – la lingua fondamentale del film
analizzato – abbiamo scoperto che esso aderisce al sistema linguistico
centromeridionale e ha molti tratti distintivi sui diversi livelli strutturali, dovuti alla
complessa storia della Sicilia.
Dallo studio dell’impiego cinematografico del dialetto in Italia, si può
evincere che le particolarità sociolinguistiche del paese hanno sempre influenzato la
“settima arte” sin dai suoi primordi, penetrandovi come aspetto importante della
vita sociale, oppure svolgendo una funzione umoristica o mimetica. Da qui,
abbiamo dedotto che realizzando Baarìa Tornatore ha potuto basare si basava la
propria opera su una lunga tradizione cinematografica italiana.
Nel terzo capitolo siamo passati allo studio pratico delle trasformazioni
traduttive per la trasposizione linguistica e culturale del dialetto siciliano e della
sicilianità in genere nelle versioni doppiate italiana e russa di Baarìa. Innanzitutto è
stata presentata la metodologia di lavoro, la cui prima fase consiste nel confronto tra
il parlato filmico dell’originale e il doppiaggio italiano, mirato a identificare i casi
di mantenimento del dialetto nella traduzione. Queste occorrenze sono state raccolte
nelle tabelle contenenti le due varianti della stessa battuta, quella siciliana e quella
tradotta. In una fase successiva si è aggiunta un’altra colonna con le corrispondenze
russe delle stesse battute.
Durante la prima analisi del corpus raccolto, abbiamo individuato gli idiomi
che costituiscono la fisionomia linguistica del film: oltre al dialetto siciliano sono
l’italiano regionale, l’italiano dell’uso medio, l’italiano letterario e l’inglese.
Nonostante questo multilinguismo, abbiamo confermato il nostro presupposto che
l’idioma siciliano gioghi un ruolo davvero fondamentale nella narrazione di Baarìa,
poiché è il filo conduttore dei pensieri e ricordi del popolo bagherese che il regista,
lui stesso di Bagheria, voleva trasmettere attraverso questa opera.
In seguito ci siamo concentrati sulle trasformazioni traduttive eseguite nei
doppiaggi italiano e russo di Baarìa. Abbiamo osservato prima di tutto che il titolo
del film viene lasciato intatto nella versione italianizzata, sebbene potesse essere
tradotto come Bagheria, essendo questo il nome ufficiale della città. Riteniamo che
69
sia stata una scelta personale di Tornatore che evidenzia ancora di più l’importanza
del dialetto per questa opera. Invece, nel doppiaggio russo il toponimo dialettale
viene russificato, spostando l’accento sul secondo sillaba: Баа́рия. Secondo noi,
tale trasformazione non è giustificata, perché Baarìa è in ogni caso un nome
geografico sconosciuto da un parlante russofono che avrebbe potuto essere trascritto
e pronunciato con l’accento originale.
Nella fase successiva, abbiamo studiato le possibilità della trasportazione del
multilinguismo originale nella traduzione, arrivando a due conclusioni. La prima è
che la versione italiana non è in grado di trasmettere alcune sfumature del
significato artistico, poiché livella talvolta i fenomeni di code-switching e di codemixing molto evidenti nel doppiaggio originario. Per quanto riguarda i dialoghi
russi, essi perdono quasi completamente la diversità linguistica dell’opera.
Abbiamo osservato inoltre che la versione italiana riproduce i tratti foneticofonologici del parlato siciliano, offrendo un italiano “sporcato” soprattutto a livello
della pronuncia. Il doppiaggio russo, non essendo capace di ricreare i dialettismi
fonetici, li ricompensa con strategie traduttive che coinvolgono gli altri aspetti della
lingua.
Sono state evidenziate, successivamente, le forme grammaticali del dialetto
che vengono trasportate dall’originale alla versione italianizzata, concludendo che
queste non impediscono alla comprensione degli episodi singoli e del testo filmico
globale, ma consentono perfettamente di percepire un forte distacco dalla norma
linguistica nazionale nel parlato dei personaggi bagheresi.
Come abbiamo potuto rilevare nell’ultima fase dell’analisi, i dialettismi
lessicologici costituiscono il gruppo più rilevante fra quelli che sono stati impiegati
per rendere le particolarità linguistiche de film. Infatti, quasi tutti i dialettalismi di
questo tipo vengono trasportati fedelmente nella versione italiana senza
cambiamenti, presentando così gli aspetti linguistici e culturali più forti della
sicilianità. Il doppiaggio russo, non potendo adoperare la tecnica di trascrizione, in
genere traduce questi dialettismi con mezzi propri.
L’impressione generale che abbiamo ricavato dall’analisi dei diversi aspetti
del doppiaggio ha confermato la nostra ipotesi di partenza: nonostante il russo
70
abbia un’ampia gamma di forme parlate, queste non sono sufficienti e/o adeguate ad
assicurare una trasposizione culturale e linguistica fedele del dialetto siciliano.
Dunque, nella traduzione russa osserviamo un appiattimento generale di questo
idioma a favore di una lingua russa standard. Il testo filmico russo perde le
connotazioni sociolinguistiche e culturospecifiche veicolate dal dialetto nella
versione originale. Tuttavia bisogna precisare che queste perdite non sono causate
dalla qualità della traduzione, ma dall’impossibilità di trasportare verosimilmente la
realtà linguistica italiana sul “suolo” cinematografico russo. Per fortuna, i limiti
della traduzione vengono compensati in Baarìa dalle immagini emblematiche della
Sicilia e il film può essere ugualmente apprezzato dal pubblico russo come
quintessenza della sicilianità (ne sono prova le recensioni dell’opera pubblicate su
numerosi siti di cinema in Russia). A sua volta, il doppiaggio italiano grazie alla
prossimità dei suoi elementi linguistici a quelli del siciliano, riesce a trasmettere la
funzione identificativa che svolge il dialetto in quest’opera.
71
BIBLIOGRAFIA
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