САНКТ-ПЕТЕРБУРГСКИЙ ГОСУДАРСТВЕННЫЙ УНИВЕРСИТЕТ
Филологический факультет
Кафедра романской филологии
Ефимова Ксения Николаевна
КЛАССИЧЕСКАЯ НЕАПОЛИТАНСКАЯ ПЕСНЯ В ПЕРЕВОДЕ НА
РУССКИЙ И АНГЛИЙСКИЙ ЯЗЫКИ
Выпускная квалификационная работа на соискание степени магистра
лингвистики
Научный руководитель: к.ф.н., доцент Кокошкина С.А.
Рецензент: к.ф.н. Золотайкина Е.А.
Санкт-Петербург
2016
UNIVERSITÀ STATALE DI SAN PIETROBURGO
Facoltà di lettere
Dipartimento di filologia romanza
Ksenia Efimova
LA CANZONE CLASSICA NAPOLETANA NELLE TRADUZIONI IN
RUSSO E IN INGLESE
Tesi di laurea magistrale
Relatore: prof. S. Kokoshkina
Correlatore: prof. E. Zolotaykina
San Pietroburgo
2016
Indice
Indice ................................................................................................................................................. 3
Introduzione...................................................................................................................................... 4
Capitolo I. Le particolarità della traduzione letteraria e la storia della canzone napoletana ... 9
1.1 Traduzione letteraria ............................................................................................................. 9
1.1.1
Equivalenza e adeguatezza....................................................................................... 13
1.1.2 Traduzione di poesia ....................................................................................................... 22
1.1.3. Traduzione delle canzoni ............................................................................................... 28
1.2 Lingua e canzoni di Napoli .................................................................................................. 29
1.2.1. Le origini della canzone napoletana .............................................................................. 29
1.2.2. Epoca d’oro – la canzone classica napoletana .............................................................. 32
1.2.3. Le vie di ulteriore sviluppo del dialetto napoletano ....................................................... 36
Capitolo II. Canzone classica napoletana nelle traduzioni in russo e in inglese ....................... 41
2.1 Dialetto napoletano .............................................................................................................. 41
2.2 Analisi delle traduzioni ........................................................................................................ 43
2.2.1. Dicitencello vuje – Скажите, девушки, подружке вашей – Just Say I Love Her ......... 44
2.2.2. ‘O sole mio – Моё солнышко– It’s now or never .......................................................... 51
2.2.3. Torna a Surriento – Вернись в Сорренто – Surrender ................................................ 56
2.2.4. Funiculì, Funiculà – На качелях ................................................................................... 61
2.2.5. Tu, ca nun chiagne – Не плачь ...................................................................................... 64
2.2.6. Voce ‘e notte – Ночная песня ........................................................................................ 66
Conclusione ..................................................................................................................................... 69
Bibliografia ..................................................................................................................................... 72
Sitografia ......................................................................................................................................... 73
Appendice........................................................................................................................................ 75
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Introduzione
La traduzione ha un ruolo estremamente importante nel conoscersi e
capirsi tra persone di paesi diversi tramite la reciproca scoperta della cultura,
della musica e della poesia. La canzone è una forma d’arte che porta un’impronta
dell'identità di una nazione e ha la possibilità di dare un forte impatto emotivo
all’ascoltatore. Anche se molte canzoni trattano di temi universali (è per questo
che possono essere facilmente accettate, diventare famose e amate in un’altra
cultura), i loro testi sono spesso inseriti in uno specifico contesto culturale. Nel
passaggio da una lingua all’altra, da una cultura all’altra, molte sottigliezze,
molti significati possono sparire. È necessario trasmettere la ricchezza
dell’originale, ricostruire l'unità della musica e delle parole, creando nello stesso
tempo un testo che sia naturale per la lingua e la cultura della traduzione,
insomma, tradurre non solo da una lingua verso l’altra, ma «da una cultura verso
un’altra cultura». Questa è la grande sfida che pone la traduzione letteraria in
generale, ancora di più – la traduzione poetica, e in particolare – la traduzione
delle canzoni, di cui parleremo in questo lavoro.
La traduzione letteraria occupa un posto speciale nella teoria della
traduzione, è un intero ambito di traduzione che ha i suoi meccanismi e le sue
leggi. Si distinguono diverse tipologie di la traduzione letteraria, fra cui la
traduzione della poesia, che è giustamente considerata quella più complessa, che
richiede, più di tutte le altre tipologie, creatività e che quindi ha bisogno di un
traduttore che sia anche un vero e proprio scrittore, un vero poeta. Mentre alla
traduzione letteraria in generale e alla traduzione di poesia in particolare sono
dedicati numerose ricerche e lavori di linguisti e traduttori, manca materiale
4
teorico che tratti in maniera approfondita i problemi della traduzione delle
canzoni, il che costituisce l'attualità del presente lavoro. La novità del lavoro
consiste nel fatto che alle traduzioni delle canzoni classiche napoletane non sono
state dedicate delle ricerche in ambito linguistico e dal punto di vista traduttivo.
Il contenuto di una canzone non è racchiuso esclusivamente nel testo, ma
è condiviso tra il testo e la musica. Senza dubbio, le emozioni che una canzone
deve evocare, il suo «messaggio emotivo», raggiungono anche l’ascoltatore che
capisce il testo parzialmente o non lo capisce affatto. Però, ovviamente, si tratta
di una comprensione molto incompleta, specialmente per quelle canzone che
portano un messaggio carico di significato, i cui testi sono una vera lirica, che
hanno dentro di sé, per esempio, un sottile umorismo tipico nazionale, un gioco
di parole, o che raccontano una commovente storia personale. La veste musicale
crea la magia intorno alle parole, e questo insieme può avere una tale genuinità e
inspiegabile bellezza da ricevere la seconda vita in un altro ambiente linguistico
e culturale, perché gli altri vogliono fare parte di questa bellezza riportandola
nella loro lingua.
Anche se oggi gli esempi di successo delle versioni tradotte non appaiono
molto spesso (tra gli ultimi, forse, vi è «Mi va», la versione italiana di «Je Veux»
di ZaZ, conosciuta e apprezzata non solo in Italia), non si può negare che la
traduzione delle canzoni susciti un vivace interesse sia tra gli amatori (i quali ci
dedicano innumerevoli siti internet) che tra i traduttori professionisti. È un vero
genere di traduzione, molto creativo, vivo ed interessante, perché è accostato alla
musica che non conosce le frontiere linguistiche e, con i mezzi di comunicazione
di oggi, una canzone può diventare un «hit» in pochi giorni. Ed è qui che può
apparire una persona, un gruppo o uno studio musicale per creare la sua versione
fedele o un remake (la questione di fedeltà delle traduzioni sarà riscontrato in
dettaglio in questo lavoro).
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Per affrontare il fenomeno della traduzione delle canzoni in questo lavoro,
è stato deciso di ricorrere ad un esempio di un valore e storia eccezionali – alla
canzone classica napoletana e le sue traduzioni in russo e in inglese.
La canzone classica napoletana è un repertorio che maturava per più di un
secolo – dall’1830 al 1970. Numerosissime canzoni hanno avuto un successo
clamoroso, sono conosciute e amate in tutto il mondo. Il fenomeno della loro
diffusione globale è dovuto in gran parte alle traduzioni, grazie a cui le canzoni
non solo venivano esportate nei paesi europei, negli Stati Uniti, in Russia, in
Giappone ecc., ma sono entrate a far parte per sempre della storia musicale di
ogni paese. Le versioni tradotte di alcune canzoni classiche napoletane si sono
affermate, radicate e hanno «vissuto» la loro vita a parte dagli originali. Molto
spesso erano persino percepite dalle nazioni, a cui le traduzioni erano destinate,
come parte della loro cultura.
Negli Stati Uniti Elvis Presley, inconfondibile e originale, aveva
comunque i suoi modelli di riferimento, prima di tutti Mario Lanza, poi Enrico
Caruso e Dean Martin, artisti americani di origine italiana. La canzone
napoletana ha conquistato Elvis e le versioni inglesi di «O Sole Mio» e «Torna a
Surriento» - «It’s Now or Never» e «Surrender» - sono segnate da un grande
successo.
In Unione Sovietica il pubblico conosceva la canzone napoletana
specialmente grazie a Mikhail Aleksandrovič, un cantante da camera, Sergej
Lemešev, Sergej Migaj ed altri cantanti dell’opera. Le canzoni napoletane in
russo costituivano la parte centrale di quasi ogni concerto di Aleksandrovič e
avevano un grandissimo successo, il pubblico le acclamava sempre
calorosamente. Esistono circa 50 canzoni classiche napoletane in russo (in
appendice l’intera lista) che si cantavano allora e che si cantano adesso, il che
permette di affermare che la canzone classica napoletana ha ottenuto il suo posto
nella cultura musicale russa ed è rimasto così fino ad oggi.
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In questo lavoro vengono analizzate le canzoni classiche napoletane e le
loro traduzioni in russo e inglese. Abbiamo considerato solo le traduzioni
affermate, quelle che sono diventate canzoni a sé stanti, i cui testi sono stati
trovati negli spartiti oppure sono reperibili nelle registrazioni. La scelta delle
canzoni è stata dettata dai seguenti criteri:
1. Disponibilità delle traduzioni in entrambe le lingue, sia in russo che in inglese;
2. La popolarità della versione tradotta e la presenza in essa dei fenomeni
interessanti dal punto di vista traduttivo.
Le canzoni scelte sono queste:
Dicitencello vuje – Скажите, девушки, подружке вашей – Just Say I Love
Her;
‘O sole mio – Моё солнышко – It’s Now or Never;
Torna a Surriento – Вернись в Сорренто – Surrender;
Funiculì, Funiculà – На качелях;
Tu, ca nun chiagne – Не плачь;
Voce ‘e notte – Ночная песня.
Lo scopo della ricerca è di valutare il rapporto tra i testi originali e le
rispettive traduzioni in russo e in inglese, di spiegare le tendenze generali e i
motivi delle differenze tra di loro.
Obiettivi:
1. Confrontare il testo originale napoletano con il testo della traduzione in russo
e/o in inglese per valutare la loro equivalenza ed adeguatezza.
2. Analizzare quanto fedele sia stato il traduttore al testo originale; descrivere il
carattere e il motivo delle deviazioni per evidenziare eventuali strategie
traduttive.
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3. Analizzare le scelte lessicali per evidenziare se ci sono stati i tentativi di
ricreare il sapore dialettale nelle traduzioni.
4. Confrontare le traduzioni in russo e in inglese per confrontare le relative
strategie traduttive.
Il lavoro consiste di introduzione, due capitoli, conclusione e bibliografia.
8
Capitolo I. Le particolarità della traduzione letteraria e la storia
della canzone napoletana
1.1 Traduzione letteraria
Il fatto di appartenenza di un testo ad un certo genere testuale ha una
grande importanza per il traduttore, poiché il genere testuale determina i requisiti
per la traduzione e quindi l’approccio ad essa, influisce la scelta delle strategie
traduttive. I meccanismi della traduzione sono diversi tra un genere e un altro
(Vinogradov 2001: 8).
I testi letterari comprendono tutta la varietà dei generi letterari, critica
letteraria e pubblicistica. Certamente, ogni genere testuale ha i propri tratti
specifici che riguardano espressività, linguaggio e funzione. Nei testi letterari la
forma investe una particolare importanza: in tali testi trova la sua espressione la
percezione della realtà non tanto razionale quanto artistica ed estetica, e il valore
estetico dell’opera e la potenza del suo impatto sul lettore dipende dal modo e
dalla forma della realizzazione del contenuto (Ibidem).
Una regola essenziale è stata espressa in un modo perfettamente conciso
da Nikolaj Ivanovič Žynkin, linguista sovietico: “Bisogna capire il mondo
anziché il linguaggio” (Žynkin 1982: 92). La traduzione, senza dubbio, è una
vera arte. Nella parola si riflette e si cristallizza il patrimonio spirituale che passa
da una generazione all’altra, da una nazione all’altra, avvicinando e arricchendo
le lingue e le culture diverse. K. Čukovskij tra i primi a lavorare sulla
metodologia della traduzione letteraria, l’ha fatto per mezzo secolo e quindi è
considerato una figura chiave nella teoria della traduzione letteraria russa.
L’approccio di Čukovskij alla traduzione letteraria è la sintesi della teoria e
dell’arte. L’alto grado di adeguatezza della traduzione che esigeva Čukovskij
richiedeva una perfetta espressione del contenuto e un’armonica riproposta nella
lingua d’arrivo di tutti gli aspetti dell’originale, quindi dello stile, delle locuzioni
espressivi, delle particolarità dell’intonazione e del linguaggio dell’autore, la
stessa resa emozionale.
Una volta la Russia era tra i paesi con il maggior numero di pubblicazioni
annuali di traduzioni di opere letterarie. Le opere di molti traduttori sono giunte
all’apice massimo di arte letteraria. Gli impressionanti successi dei traduttori
hanno favorito lo sviluppo della teoria della traduzione, le cui origini in Russia
sono legati al nome di A. M. Gor’kij. Questo grande scrittore capiva in un modo
profondo tutte le sottigliezze dei rapporti fra la teoria e la pratica della traduzione
nel processo letterario (Vinogradov 2001:3).
Nel 1918 Gor’kij fondò una casa editrice «Vsemirnaja literatura». Gor’kij
riunì accademici, scrittori e traduttori famosi, ponendoli di fronte a problemi sia
teorici che pratici: era necessario scegliere dei capolavori della letteratura
mondiale, tradurli ed elaborare con un approccio scientifico i pregi e i difetti
delle traduzioni già esistenti. Per aprire la porta ai lettori russi verso il brillante
patrimonio letterario mondiale «... era indispensabile elaborare una teoria della
traduzione letteraria che avrebbe munito un traduttore anche dei principi chiari,
affinché ogni traduttore possa perfezionare le sue capacità» (Čukovskij 1964:4).
A cominciare fu lo stesso Gor’kij: scrisse un paio d’appunti sulla traduzione
letteraria (Ivi: 349-352), li consegnò a Čukovskij e gli chiese di preparare la
prima opera nella filologia russa che descrivesse i principi della traduzione
letteraria. Così, teoria e pratica nella tradizione della traduzione in Russia ebbero
le comuni origini.
L’opuscolo «Principy hudožestvennogo perevoda» che conteneva gli
articoli di Čukovskij e di N. S. Gumilёv è stato pubblicato nel 1919. Nel 1930 è
uscito il libro «Iskusstvo perevoda» basato sullo studio molto più approfondito di
Čukovskij e su uno studio di A. V. Fёdorov «Priёmy i zadači hudožestvennogo
perevoda». Qualche mese prima dell’inizio della Seconda guerra Mondiale sono
usciti quasi contemporaneamente due libri che hanno dato un particolare
contributo allo sviluppo degli studi sulla traduzione: «Vysokoje iskusstvo» di K.
10
I. Čukovskij (nel 1964 c'è stata una nuova edizione di questo libro, completata e
rielaborata) e «O hudožestvennom perevode» di A. V. Fёdorov.
Subito dopo la guerra cominciarono a uscire numerose pubblicazioni
dedicate ai più vari aspetti e problemi della traduzione, come per esempio la
traduzione automatica che stava nascendo in quegli anni. Nel 1955 apparve la
prima edizione della raccolta degli articoli «Masterstvo perevoda».
Gli anni seguenti erano segnati dai numerosissimi articoli, note, recensioni
che venivano pubblicati in «Masterstvo perevoda», «Tetradi perevodčika», nelle
riviste e nei giornali. Lo spettro delle problematiche della traduzione diventava
sempre più ampio. Era chiaro che stava arrivando una nuova era della traduzione
e quindi c’era un bisogno di lavori che sintetizzassero l’esperienza teorica e
pratica degli anni precedenti. E così fu: nell’arco di tre anni (1971 – 1974) erano
usciti più lavori sulla teoria della traduzione che durante tutta la storia degli studi
sulla traduzione in Russia. Tra i più rilevanti e conosciuti sono: A. V. Fёdorov
«Očerki obščej sopostavitel’noj stilistiki». M., 1971; Irži Levyj «Iskusstvo
perevoda». M., 1974; P. I. Kopanev, «Voprosy istorii i teorri hudožestvennogo
perevoda». Minsk, 1972; G. Gačečiladze, «Hudožestvennyj perevod i
literaturnyje vzaimosv’jazi». M., 1972; V. N. Komissarov, «Slovo o perevode».
M., 1973; E. Etkind, «Russkije poeti-perevodčiki ot Trediakovskogo do
Puškina». L., 1973.
Nel 1975 uscì monografia di L. S. Barhudarov «Jazyk i perevod». Tra gli
altri lavori significativi degli anni 1970 – 1990 sono: V. S. Vinogradov
«Leksičeskije voprosy perevoda hudožestvennoj prozy». M., 1978; S. I. Vlahov,
S. P. Florin, «Neperevodimoje v perevode». M., 1980; V. N. «Lingvistica
perevoda». M., 1980; A. Popovič, «Problemy hudožestvennogo perevoda». M.,
1980; R. K. Min’jar-Beloručev «Obščaja teorija perevoda i ustnyj perevod». M.,
1980; N. L’ubimov «Perevod – iskusstvo». M., 1982; A. V. Fёdorov «Iskusstvo
perevoda e žizn’ literatury». L., 1983; E. D. L’vovskaja «Hudožestvennyj
11
perevod. Problemy i suždenija». M., 1986; V. N. Komissarov «Teorija
perevoda». M., 1990.
La definizione del termine «traduzione» dipende spesso dallo scopo della
ricerca, dal punto di vista del scienziato, dalla sua appartenenza ad una o ad
un’altra tradizione della traduzione. Così, uno dei fondatori della scienza della
traduzione in Russia, A. V. Fёdorov, definisce la traduzione come «la capacità
della completa e profonda espressione di ciò che è già espresso con i mezzi di
una lingua con i mezzi di un’altra lingua» (Fёdorov 1983:10). V. S. Vinogradov
in «Vvedenije v perevodovedenije (obščije i leksičeskije voprosy)» propone la
seguente definizione della traduzione: «un processo che è frutto del bisogno nato
in una società», e «un resultato della trasmissione dell’informazione espressa in
una lingua con il testo equivalente (adeguato) in un’altra lingua». Con
l’informazione qui s’intende tutto ciò che riguarda il contenuto, lo stile,
l'espressività, la funzione, il genere, il valore estetico del testo originale e ciò che
deve essere ricostruito nella traduzione. Con l’equivalenza (adeguatezza) della
traduzione si intende la trasmissione più completa e fedele delle particolarità di
genere e di tutte le informazioni dell’originale. L’ equivalenza dell’originale e
della traduzione è sempre relativa. Il grado e carattere cambiano secondo il modo
in cui è eseguita una traduzione e secondo il genere del testo originale
(Vinogradov 2001:6).
Non sarebbe esagerato dire che dalle prime traduzioni, quando ancora i
romani traducevano i teatri greci, fino ad oggi, non si è smesso di discutere dei
limiti della fedeltà e libertà nella traduzione. Con l’esperienza abbiamo visto che
la traduzione a senso non può essere una soluzione, perché va a scapito della
naturalezza della lingua verso la quale si traduce e rade al suolo tutto il valore
estetico di ciò che si traduce. A volte una traduzione letterale può risultare
addirittura incomprensibile. Invece se il traduttore «si permette troppa libertà con
l’originale per semplificare il proprio lavoro», sostiene S. J. Maršak, «anche in
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questo caso va a scapito del contenuto dell’originale, il testo diventa pallido,
svanisce la sua identità individuale e nazionale» (Ibidem).
Nello stesso modo non sarebbe corretto dire che un traduttore deve
rifiutare la propria personalità artistica o meglio di non averla del tutto per poter
«dissolversi» nell’originale, per diventare un’ombra dell’autore. Proprio per
mostrare meglio ai suoi lettori l’autore e il suo stile il traduttore deve trovare le
corrispondenze funzionali, non formali, per ogni espressione originale, e questo
compito non può essere completato da un traduttore che non è creativo, che non
è un vero artista. Se il traduttore dell’opera letteraria non ha le competenze di
uno scrittore, se non possiede il linguaggio letterario e le strategie artistiche, il
testo tradotto impallidisce, e il lettore non potrà mai scoprire l’autore
dell’originale.
Il traduttore M. Lozinskij sostiene che ci sono due grandi approcci alla
traduzione letteraria: il primo è cosiddetta «localizzazione», cioè quando il
contenuto dell’opera viene cambiata secondo le tradizioni, la mentalità e le
abitudini della cultura ricevente, e i cambiamenti avvengono sia a livello di
forma che di contenuto. Il secondo approccio (ed è ritenuto più corretto) si basa
sul principio di rispetto per l’opera straniera, e a volte, addirittura, può anche
consapevolmente mettere in rilievo i suoi fatti interessanti, nuovi, esotici per la
cultura ricevente per fare sentire al lettore che sta entrando in un altro territorio
culturale.
1.1.1 Equivalenza e adeguatezza
Valutando una traduzione, parliamo immancabilmente della sua qualità.
La categoria di qualità di traduzione dipende completamente dalla situazione
comunicativa, dall’obiettivo che il traduttore deve raggiungere. Se ricordiamo
«Skopostheorie» di Hans J. Vermeer, «il testo d’arrivo è una traduzione adeguata
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di un testo di partenza se risponde alla funzione che deve svolgere nella cultura
di arrivo» (Morini 2007: 85-86). Secondo tale teoria il testo d’arrivo viene
fondamentalmente determinato dalla funzione che è chiamato a svolgere presso
il pubblico ricevente e non solo dalle caratteristiche del testo di partenza. Quindi,
esiste la possibilità che la funzione del testo d’arrivo sia diversa da quella del
testo di partenza.
Per valutare la traduzione si usano i termini come la traduzione adeguata,
la traduzione equivalente, la traduzione esatta, la traduzione a senso e la
traduzione libera.
Una traduzione può essere definita adeguata se corrisponde a tutte le
aspettative pragmatiche mantenendo il massimo livello di equivalenza, senza
violare le regole d’uso della lingua d’arrivo, rispettando le esigenze stilistiche di
un eventuale tipo di testo. L’adeguatezza è inseparabile dall’esattezza e si ottiene
con l’uso delle diverse strategie come le sostituzioni grammaticali, sostituzioni
lessico-fraseologiche e stilistiche che contribuiscono alla creazione di un effetto
pari a quell’originale. Ed è proprio un abile uso delle sostituzioni che rappresenta
la maestria di un traduttore. La definizione della traduzione adeguata, quindi, sta
in questi tre componenti inseparabili, e la violazione di uno comporterà ad una
violazione d’un altro:
1. una la resa corretta, precisa ed esauriente del contenuto dell’originale;
2. la trasmissione della forma dell’originale;
3. l’uso impeccabile della lingua d’arrivo (Levickaya 1973: 136).
La traduzione esatta rende in un modo equivalente solo il contenuto
informativo dell’originale, mentre le norme di stile, di genere e di uso della
lingua d’arrivo possono essere trascurate. Tale traduzione, comunque, può essere
definita adeguata se lo scopo della traduzione è solo di riportare i fatti della
realtà.
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Traduzione letterale, o a senso, riprende tutti gli elementi dell’originale,
anche gli elementi formali, violando di conseguenza le norme d’uso della lingua
d’arrivo e cambiando (o trascurando) il contenuto dell’originale. La traduzione a
senso non è adeguata di per sé ed è ammessa solo in caso se lo scopo del
traduttore è appunto di riportare tutti gli elementi formali dell’originale.
La traduzione libera viene eseguita ad un livello di equivalenza inferiore a
quello che potrebbe essere raggiunto nelle specifiche circostanze. Questo tipo di
traduzione può essere definito adeguato, se è conforme con le altre norme
traduttive e non comporta le deviazioni troppo grave sul piano del contenuto. Se
invece la traduzione presenta tali deviazioni, la traduzione libera non è più
equivalente né adeguata, diventa quindi una «variazione» sul tema originale.
La traduzione equivalente è una traduzione che riproduce il contenuto ad
uno dei livelli d’equivalenza. La teoria dei livelli di equivalenza è stata proposta
da V. N. Komissarov, con un’idea che il grado reale di prossimità del contenuto
tra l’originale e la traduzione è una variabile. La teoria si basa sulla convinzione
che le relazioni di equivalenza si stabiliscono tra i corrispondenti livelli del testo
di partenza e quello d’arrivo. Nel contenuto di un testo di distinguono i vari tipi
d’informazione, e siccome non è possibile tradurre il cento per cento
dell’informazione, lo scopo più importante per il traduttore i di conservare il
nucleo. Quindi, la conservazione della funzione dominante dell’enunciato è una
condizione obbligatoria su qualsiasi livello di equivalenza. V. N. Komissarov
distingue cinque livelli o tipi di equivalenza del contenuto: equivalenza a livello
di scopo di comunicazione, equivalenza a livello di una precisa situazione,
equivalenza a livello dell’enunciato/testo, equivalenza a livello degli
enunciati/proposizioni, equivalenza a livello lessicale.
1. Equivalenza a livello di scopo di comunicazione.
La parte del contenuto di un testo (di un enunciato) che rappresenta la
funzione generale di esso in un determinato atto comunicativo è lo scopo della
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comunicazione. Questa parte rappresenta un senso sottinteso, che non è presente
in un modo formale. Nella traduzione la sintassi può non coincidere e la
situazione può essere leggermente cambiata.
Quindi, questo tipo di equivalenza presenta:
a) l'incompatibilità dei componenti lessicali e dell’organizzazione sintattica;
b) l'impossibilità di stabilire le relazioni di trasformazione sintattica o parafrasi
semantica tra il lessico e la struttura dell’originale e di traduzione;
c) l’assenza dei chiari legami logici tra l’enunciato originale e quello tradotto per
poter affermare che si tratte della stessa cosa in entrambi i casi;
d) la minore comunanza del contenuto dell’originale e traduzione rispetto a tutti
gli altri livelli;
Il ricorso a questo tipo di equivalenza è necessario nelle situazioni quando
la traduzione più dettagliata è completamente impossibile o quando essa
comporterebbe il lettore alle conclusioni errate, gli farebbe venire le associazioni
completamente diverse (rispetto al lettore dell’originale), ed impedirebbe una
adeguata trasmissione dello scopo di comunicazione.
2. Equivalenza a livello di una precisa situazione.
Le relazioni tra l’originale e traduzione di questo tipo presentano:
1) l'incompatibilità dei componenti lessicali e dell’organizzazione sintattica;
2) l'impossibilità di stabilire le relazioni di trasformazione sintattica o parafrasi
semantica tra il lessico e la struttura dell’originale e di traduzione;
3) la presenza di un legame logico tra l’originale e la traduzione, di un segno che
permette di stabilire la comunanza delle situazioni;
Nel secondo tipo di equivalenza la parte comune tra l’originale e
traduzione non solo presenta un condiviso scopo comunicativo, ma anche la
stessa situazione extralinguistica. Nonostante ciò, le differenze semantiche e
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strutturali tra l’originale e traduzione sono grandi. Identificazione di una
situazione è quando una situazione reale fa parte di un enunciato e viene
descritta tramite uno dei mezzi disponibili. Nelle traduzioni il tipo di equivalenza
più diffuso è questo, secondo, e questa diffusione è legata al fatto che ogni
lingua ha i suoi mezzi preferibili, e da una lingua all’altra il modo di dire la
stessa cosa cambia. La differenza tra l’identificazione di una situazione e il modo
di descriverla rappresenta la peculiarità’ dei rapporti tra lingua, mentalità e la
realtà.
3. Equivalenza a livello dell’enunciato/testo
Il confronto degli originali con le traduzioni di questo tipo presenta le
seguenti particolarità:
a) l’assenza del parallelismo lessicale e sintattico;
b) l'impossibilità di stabilire le relazioni di trasformazione sintattica tra le
strutture dell’originale e della traduzione;
c) la traduzione mantiene lo scopo comunicativo e l’identificazione della
situazione dell’originale;
d) i concetti generali con cui viene descritta la situazione nell’originale sono
presenti nella traduzione; nel modo di descrivere la situazione appaiono più
corrispondenze grazie al ricorso agli stessi fatti della realtà.
La comunanza dei nuclei del significato dell’originale e della traduzione
in questo tipo diventa evidente.
4. Equivalenza a livello degli enunciati/proposizioni.
In questo tipo di equivalenza rimangono le caratteristiche del terzo tipo e
si aggiunge una maggiore comunanza tra le strutture sintattiche. In questo caso la
massima conservazione dell’organizzazione sintattica influisce in un modo
positivo il resultato della traduzione e aiuta a ricostruire il contenuto originale in
un modo più completo. È un tratto che riguarda maggiormente la traduzione
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giuridica, ma non è assente nella traduzione letteraria. La quantità totale delle
proposizioni coincide. Le proposizioni sono strutturati in una maniera quasi
identica – di solito ogni parte di proposizione in originale ha una parte
corrispondente nella traduzione. Le relazioni tra l’originale e la traduzione del
quarto tipo si caratterizzano per:
a) un considerevole (ma non totale) parallelismo lessicale: la maggior parte delle
parole di originale è tradotta in un modo molto fedele;
b) l’utilizzo delle strutture sintattiche analoghe a quelle originali, il che permette
di riportare nella traduzione i loro significati;
c) la conservazione di tutte e tre parti del contenuto originale, tipico anche per il
terzo tipo di equivalenza, quindi lo scopo comunicativo, identificazione della
situazione e il modo di descriverla.
5. Equivalenza a livello lessicale
È l’ultimo tipo di equivalenza dove si tratta della relazione più vicina tra il
significato dell’originale e della traduzione che può esistere tra i testi in lingue
diverse. Vengono presi in considerazione tutti i livelli precedenti. L’equivalenza
del quinto tipo sottintende anche il mantenimento delle caratteristiche stilistiche
dell’originale. Questo tipo di equivalenza si caratterizza per:
a) un altro grado di parallelismo della struttura formale del testo originale e
quello tradotto;
b) una relazione altamente stretta tra il lessico dell’originale e della traduzione:
in quest’ultima si trovano tutti i vocaboli corrispondenti;
c) la conservazione nella traduzione di tutti i dettagli principali del significato
dell’originale.
Secondo A. N. Paršin bisogna distinguere un’equivalenza potenzialmente
raggiungibile e un’equivalenza traduttiva. La prima significa la massima
comunanza del contenuto tra i due testi in lingue diverse che le differenze tra le
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lingue permettono; la seconda è una vicinanza reale del contenuto dell’originale
e della traduzione che un traduttore può raggiungere nel processo traduttivo. Il
limite dell’equivalenza traduttiva è il massimo grado possibile della
conservazione del contenuto dell’originale, ma in ogni traduzione la vicinanza al
senso dell’originale viene raggiunta con i modi diversi e con i risultati diversi
(Paršin 2000: 161).
V. V. Sdobnikov definisce l’equivalenza della traduzione come la
massima somiglianza linguistica tra il testo di partenza e d’arrivo (Sdobnikov
2000: 134-135).
A. A. Smirnov considera che la traduzione letteraria equivalente deve
trasmettere il senso del contenuto, l'espressività, il tono emozionale e la struttura
dell’originale. Una traduzione può essere definita come equivalente se ripropone
tutte le intenzioni d’autore che si manifestano nell’impatto ideologicoemozionale sul lettore, e se trasmette le immagini mentali, l'identità locale, il
ritmo ecc. che sono presente nell’opera originale. Questo, però, non deve essere
visto come lo scopo da raggiungere a tutti i costi, anche a scapito di
scorrevolezza del testo della traduzione. È solo lo strumento per ottenere un
migliore effetto in generale, inevitabilmente consacrando i componenti meno
rilevanti (Smirnov 1934: 531).
Quindi anche nelle migliori traduzioni inevitabilmente avvengono i
seguenti cambiamenti convenzionali rispetto all’originale:
1. Una parte del materiale non viene riprodotta nella traduzione;
2. Una parte del materiale viene riprodotta tramite sostituzioni, equivalenti, ecc.;
3. Viene introdotto, «importato» un materiale che non vi è nell’originale.
Secondo S. J. Maršak un minimo di questi cambiamenti è assolutamente
necessario per ottenere nella lingua d’arrivo un insieme di forma e contenuto
equivalente all’originale (Maršak 1990: 576).
19
Il concetto di equivalenza traduttiva è centrale nei dibattiti attorno la
traduzione. Una distinzione di fondamentale importanza è tra l’equivalenza
formale e quella dinamica o comunicativa. Equivalenza formale presenta il
minore distacco dalle strutture formali del testo di partenza, il punto di
riferimento rimane il testo di partenza, e non il testo d’arrivo, ma questo non
attribuisce alla traduzione una maggiore qualità, specialmente se si tratta della
traduzione di un’opera letteraria. Equivalenza dinamica o comunicativa invece
richiede di ricostruire il significato dell’originale, unico e univoco, in modo da
trasmetterlo ai lettori nella cultura di arrivo, e far sì che la loro reazione sia
sostanzialmente uguale a quella dei lettori del testo di partenza. Ovviamente,
quest’ultima è l’equivalenza che un traduttore deve cercare di raggiungere.
Si può affermare che nessuna traduzione può essere completamente
identica al testo di partenza. L’equivalenza della traduzione è un concetto sempre
molto relativo e dipende dai fattori come le peculiarità della lingua e cultura di
partenza e d’arrivo, l’epoca a cui appartiene l’originale e in cui viene creata la
traduzione, le strategie traduttive, i generi testuali (Vinogradov 2001: 8).
Bisogna sottolineare che l’equivalenza dell’originale e della traduzione è
prima di tutto unità della comprensione dell’informazione del testo, compresa
quella informazione che influisce non solo la mente ma anche i sentimenti di un
recipiente, che non solo è esplicitata nel testo, ma anche implicitamente fa parte
del sottotesto. Il concetto di equivalenza va interpretato in relazione alle
caratteristiche semantiche, strutturali, funzionali, comunicativi, pragmatiche, di
genere eccetera (Ibidem). Questi aspetti dell’originale devono essere realizzati
nella traduzione, la realizzazione sarà diversa, secondo il testo, lo scopo e le
modalità della traduzione (Vinogradov 2001: 9).
Alcuni teorici della traduzione considerano che il principale aspetto di
equivalenza sia l’aspetto comunicativo-funzionale, il che significa che lo stesso
effetto comunicativo deve essere ricevuto dai recipienti in lingua originale e in
lingua della traduzione (Latyšev 1988: 24). In pratica la percezione del
20
traduttore, e di ogni individuo, non può essere completamente identica a quella
di qualcun’altro per le ragioni personali, culturali e sociali. La percezione di un
testo è sempre un fenomeno molto personale, e un madrelingua medio, di cui
reazione ad un testo può essere calcolata, in realtà non esiste (Ibidem).
Quindi lo scopo della traduzione non è l’adattamento del testo ad un modo
di percepire di qualcuno, ma è la conservazione del contenuto, funzione, valore
stilistico, comunicativo e artistico dell’originale. E se questo scopo è raggiunto,
la percezione della traduzione nella cultura della traduzione sarà molto simile
alla percezione dell’originale nella sua cultura. L’abuso del ruolo dell’aspetto
comunicativo-funzionale nella traduzione va a scapito del contenuto interiore,
«diluisce» il nucleo informativo del testo di partenza e di arrivo, porta alla
sostituzione dell’oggetto con la reazione ad esso del recipiente. Così la funzione
comunicativa e le condizioni della realizzazione diventano più importanti del
testo stesso (Ibidem).
Dunque, l’esigenza principale, la quale qualsiasi traduzione deve soddisfare per
poter essere valutata come equivalente, è trasmettere il contenuto formale, la
fabula del testo originale, altrimenti le altre informazioni e gli altri componenti
del messaggio (funzionali, stilistici, emozionali, socio locali ecc.) non possono
essere trasmessi. Questi componenti fuoriescono dal contenuto, sono suggeriti da
esso, poi si trasformano in associazioni visuali concrete (Ibidem).
Traduzione dei testi letterari ha i suoi particolari meccanismi e norme di
equivalenza all’originale. Come è stato già detto, la traduzione letteraria può solo
infinitamente avvicinarsi all’originale, perché questo tipo di traduzione ha il suo
creatore, il suo materiale linguistico, la sua vita e il suo posto nella letteratura,
lingua e cultura ricevente, tutto questo diverso dall’originale. La traduzione di un
testo letterario è generata dal testo originale e dipende da esso come qualsiasi
traduzione, ma nello stesso tempo gode la maggiore autonomia, perché diventa il
fatto della lingua d’arrivo. Per questo la stessa opera letteraria introdotta in
culture diverse ogni volta avrà una storia diversa. Così, non solo l’originale e la
21
traduzione si distinguono tra di loro per il modo in cui vengono compresi, per il
loro ruolo nella società e per la loro reputazione, ma anche le traduzioni diverse
dello stesso originale (Ivi: 12).
Non è del tutto insignificante la personalità del traduttore, la sua creatività
e la sensibilità artistica, che non è identica a quella dell’autore dell’originale.
Queste deviazioni sono indesiderabili ma inevitabili (Ibidem). Bisogna anche
ricordare che a volte il traduttore appartiene ad un’epoca diversa e quindi guarda
all’originale «dal futuro», il che può risultare in postazione di alcuni accenti. Il
contesto verticale, il macrocontesto, i realia diverse rendono il processo della
creazione di una traduzione equivalente ancora più sofisticato (Ivi: 13).
Concludendo, si può dire che nonostante l’aspirazione del traduttore di
ricreare più pienamente possibile il contenuto e il valore espressivo ed estetico
dell’originale, produrre un effetto equivalente sul suo lettore, può sperare
soltanto su una relativa equivalenza della sua traduzione all’opera originale
(Ibidem).
1.1.2 Traduzione di poesia
Nella traduzione letteraria si distinguono diversi indirizzi di traduzione
secondo il genere letterario, cinematografico o musicale dell’originale. I
principali indirizzi di traduzione letteraria sono quelli della traduzione di: poesia,
opere teatrali, satira, narrativa, canzoni, film, e altri generi musicali.
Si può dire che il traduttore di poesia è un poeta audace che sa che
«tradurre la poesia è impossibile», eppure «ogni volta è un’eccezione», come
aveva detto S. J. Maršak (Maršak 1972: 371-375). K. Čukovskij ha detto: «i
giambi vanno tradotti con i giambi, ma la bellezza va tradotta con la bellezza».
22
Il testo poetico è una tipologia di testo letterario. Il testo poetico si
caratterizza non solo per l’aspetto artistico, ma anche per quello linguistico, per
il fatto che la poesia ha delle regole di organizzazione, versificazione, e
musicalità. (Bakhtin 1979; Kvjatkovskij 1966: 5). Grazie a quest’ultima vengono
create le ripetizioni di certi suoni che hanno un ruolo a) organizzativo,
unificando i segmenti di senso b) associativo, dando una forma fonetica ad ogni
immagine poetica. La musicalità, quindi, è un mezzo molto importante di
organizzazione fonetico-stilistica del verso ed è un mezzo per dare forma ad
un’immagine poetica. Le difficoltà a riprodurre le ripetizioni sonore sono legate
alle particolarità della struttura fonologica delle diverse lingue, nello stesso
tempo queste particolarità costituiscono l'identità fonetica e la ricchezza di ogni
lingua.
Secondo la maggior parte dei teorici della traduzione, la traduzione di
poesia si distingue per la propensione a ricreare la forma. Si può dire che
l’organizzazione dell’opera poetica viene riproposta anche nella traduzione
persino in modo più attento rispetto a quella di prosa. Sempre parlando di poesia,
la forma è un sistema complesso dove gli aspetti di ritmo, genere e composizione
sono interdipendenti. L’armonia di questo sistema è responsabile dell’effetto
generale dell’opera. Inoltre, in poesia la forma diventa parte del contenuto,
simile alla forma dell’opera musicale.
Parlando dell’adeguatezza della traduzione poetica, il traduttore V. V.
Levik nota che «è impossibile tradurre la poesia come tale da una lingua all’altra.
Traducendo si crea in ogni modo una nuova opera letteraria, che assomiglia
all’originale come un fratello assomiglia a suo fratello o un bambino ai suoi
genitori. Questo fa emergere un’altra esigenza: che la traduzione abbia un pregio
poetico a sé stante». Levik aggiunge: «c’è stato un periodo in cui la scuola della
traduzione russa ha adottato il principio della traduzione a senso al suo grado
massimo. I traduttori erano fieri quando riuscivano a mettere le parole
esattamente nello stesso ordine dell’originale, avendo di fronte agli occhi la
23
traduzione e l’originale si poteva studiarne la lingua, talmente stavano attenti a
far corrispondere le parole e la punteggiatura. Purtroppo questo approccio ha
portato l’arte della traduzione letteraria russa ad una catastrofe. Mai, né prima né
dopo, c'è stato un simile degrado. L’arte, come un essere vivente, per svilupparsi
ha bisogno di libertà, e i migliori poeti russi, che erano anche i migliori traduttori
di poesia, lo capivano, per esempio, Puškin, che sapeva come nessun altro
trasmettere in piena misura l’essenza poetica dell’originale senza allontanarsi dal
suo contenuto»1.
Secondo J. M. Lotman, «le difficoltà della traduzione poetica si legano
generalmente a due problemi: alla trasmissione dell'originalità ideologica (e
psicologica) nazionale (trasmissione della struttura di una coscienza attraverso la
struttura di un’altra), e alla particolarità intraducibile dei mezzi linguistici
(idiomi). Talvolta si insiste anche sulla specificità degli elementi prosodici della
lingua e delle strutture ritmiche nazionali». (Lotman 1964: 183-187).
È proprio nel testo letterario (e soprattutto in poesia), quando il piano
linguistico generale del contenuto e il piano dell’espressione si fondono nella
struttura complessa del segno artistico, che emerge «l’effetto di intraducibilità».
A suo tempo Brjusov scrisse: "È impossibile trasmettere la creazione del poeta
da una lingua all’altra; ma è impossibile anche rinunciare a tale sogno” (Brjusov
1955: 188). Al fine di chiarire cosa si lasci tradurre nel verso, e con che grado di
precisione, è indispensabile smembrare il problema in vari livelli. È evidente che
la trasmissione di un segmento discorsivo attraverso un altro che per significato
gli corrisponda in un’altra lingua (traduzione) non presenta difficoltà. Contro
ogni aspettativa, nemmeno stabilire equivalenti ritmici presenta grandi difficoltà.
Le difficoltà principali della traduzione del testo letterario sono legate alla
necessità di trasmettere i legami semantici che emergono, specificamente nel
testo poetico, ai livelli fonologico e grammaticale. Ma quei legami semantici
specifici, che emergono in virtu’ del cambiamento nel testo poetico, sia del
1
V. V. Levik, Perevod kak iskusstvo, statja, http://vvl00.narod.ru/vl-002.htm
24
rapporto tra l’involucro sonoro della parola e la sua semantica, sia della
tematizzazione del livello grammaticale, sembrano sottrarsi a una traduzione
esatta. Qui si deve porre la questione non dell’esattezza della traduzione, ma
della sua adeguatezza, del tentativo di riprodurre in generale il grado di densità
dei legami semantici nel testo (Lotman 1964: 183-187).
La semantica dell’opera letteraria e la sua idea dipendono in buona misura
dalle strutture extra testuali. Alcune di queste strutture – di importanza
determinante – hanno carattere storico-sociale. Strutture di tale tipo sono del
tutto accessibili al contemporaneo che appartenga allo stesso ambiente
dell’autore. Alcune connessioni hanno carattere psicologico-individuale, a volte
intimo. Ai contemporanei, e tanto più ai successori, esse sono accessibili in
misura minore, e a volte non lo sono affatto. Infine, i lettori (in particolare delle
epoche più tarde) possono rapportare il testo a strutture extra testuali diverse
rispetto a quelle dell’autore. Qui emerge l’inadeguatezza della percezione, che si
manifesta particolarmente evidente quando autore e lettore sono separati da un
consistente intervallo di tempo – oppure, in caso di traduzione, dalla differenza
di culture nazionali. Tale specificità delle connessioni semantiche che emergono
in poesia a livello delle unità fono-grammaticali e dei legami extra testuali
costituisce l’aspetto più complesso della traduzione letteraria (Ibidem).
S. F. Gončarenko, un traduttore, poeta e filologo, oltre che fondatore e
presidente dell’Associazione Ispanisti Russi, sostiene che è assolutamente
evidente che la comunicazione poetica è possibile solo nel caso in cui il testo
poetico si caratterizza per l’ipercoesione e l’ipersemantizzazione di tutti i suoi
elementi, e che proprio questa ipercoesione e ipersemantizzazione degli elementi
linguistici rendono assolutamente impossibile una completa riproduzione
dell’informazione dell’originale. Quindi, ogni volta il traduttore deve fare una
scelta: sacrificare che cosa e per che cosa (Gončarenko 1999: 108-111).
La traduzione poetica, come ogni tipologia di traduzione, prima di tutto è
un atto di comunicazione interlinguistica e interculturale. È molto importante che
25
la traduzione poetica svolga la trasmissione dell’informazione poetica
esclusivamente tramite un testo finito, dove ogni componente si avvale del suo
vero significato esattamente ed esclusivamente all’interno di quell'unità testuale,
ma, se preso separatamente, non ha senso. È vero che nei testi poetici vengono
usate le stesse parole ed espressioni che si usano in prosa o nei discorsi
quotidiani, ma grazie ad un’organizzazione particolare del verso il meccanismo
della costruzione del contenuto, l’orientamento e la funzione comunicativa del
discorso cambiano completamente (Ibidem).
L’informazione di ogni testo poetico, scrive S. F. Gončarenko, è
evidentemente divisa in due tipologie basate sui principi opposi: l’informazione
sul senso e l’informazione estetica. All’interno dell’informazione sul senso si
distinguono l’informazione formale (fabula) e l’informazione concettuale.
L’informazione formale è l’informazione sui fatti e/o eventi che sono già
avvenuti, avvengono al momento oppure avverranno nel mondo reale o
inventato. Questa informazione si trova anche nei testi non letterari, per esempio:
«Я помню, как ты неожиданно вошла в мою комнату, и я подумал: это не
женщина, а чудо!».
Invece ogni testo letterario contiene, oltre all’informazione superficiale
formale, l’informazione concettuale, che si trova ai livelli d’informazione molto
più profondi, e che qui è molto più importante dei fatti o degli eventi.
Rappresenta un concetto del mondo, vale a dire l’opinione dell’autore su come è
il nostro mondo oppure su come esso dovrebbe essere. Questa informazione per
la sua natura è sempre implicita, non ha degli esatti portatori verbali, ma diventa
percepibile per mezzo dell’informazione formale. Qui il senso letterale diventa
una forma per il vero contenuto. Ad esempio: «Я и поныне помню, как ты
внезапно появилась предо мной, - и подумалось мне, что это лишь
мимолетный мираж, запечатлевший в облике своем божественную
красоту». Questa volta di fronte a noi c'è un testo letterario che ha la stessa
informazione formale (come nell’esempio precedente), ma è anche carico di un
26
preciso contenuto concettuale: l’ammirazione di un protagonista per la bellezza
femminile (Ibidem).
In poesia si trova ancora un altro tipo significativo d’informazione che «si
eleva» sopra l’informazione concettuale e sopra tutti i tipi d’informazione
sopraelencati, ed è l’informazione estetica. In poesia, specialmente in poesia
lirica,
l’informazione
estetica
spesso
diventa
anche
più
importante
dell’informazione formale e dell’informazione concettuale. È chiaro che
l’esempio precedente, che è un testo letterario in forma di prosa, pur contenendo
l’informazione concettuale è meno informativo della versione poetica di A. S.
Puškin: Я помню чудное мгновенье: / передо мной явилась ты, / как
мимолетное виденье, / как гений чистой красоты. (Gončarenko 1999: 108111).
A seconda del tipo d’informazione che il traduttore vuole riprodurre più
fedelmente (questo, sicuramente, dipende dalla funzione comunicativa che egli
sceglie per la sua opera), esistono tre modi diversi per tradurre lo stesso testo
poetico originale: traduzione poetica, traduzione metrica, e traduzione filologica.
La traduzione filologica. In questo caso la traduzione viene fatta in prosa e
come obiettivo si ha la trasmissione quasi letterale dell’informazione formale,
esterna. Questo tipo di traduzione può essere affiancato da note e commenti, ha
una funzione puramente aggiuntiva e non pretende di avere un effetto artistico.
La traduzione metrica. È un metodo di traduzione dove il contenuto
dell’originale viene tradotto con un linguaggio non poetico, ma solo metrico. La
traduzione risulta molto vicina all’originale per il senso delle parole, delle
espressioni e dello stile. Ma purtroppo cambia l’informazione concettuale e
l’informazione estetica non viene quasi trasmessa. Proprio il desiderio di
avvicinarsi il più possibile al lessico e allo stile originali blocca tutti i tentativi di
fare di un testo metrico una vera poesia. Tra i grandi poeti che usavano questo
tipo di traduzione si ricordano A. A. Fet e A. A. Blok.
27
La traduzione poetica è la traduzione di un testo poetico «con un
linguaggio poetico nella lingua d’arrivo». Questo significa che il traduttore deve
creare un nuovo testo poetico equivalente all’originale per quanto riguarda
l’informazione concettuale ed estetica, che, se è necessario, usa forme
linguistiche o anche metriche molto diverse. Qui, l’informazione formale viene
riprodotta solo in una misura che non va a scapito dell’informazione concettuale
ed estetica, perché, come sostiene Gončarenko, l’informazione formale in realtà
non è il contenuto ma, appunto, solo una forma del testo poetico (Ibidem).
1.1.3. Traduzione delle canzoni
La traduzione delle canzoni presenta tutte le difficoltà legate alla
traduzione della poesia, e ne sviluppa in più altre. Un’ importante particolarità
fonetica dei testi delle canzoni, che li distingue dalla poesia, è che le parole sono
intrecciate con una componente musicale. Il processo di creazione di una
canzone e di traduzione di una canzone sono processi opposti: nell’originale le
parole determinano il ritmo della melodia, il suo ritmo, mentre la traduzione
deve adattarsi alla lunghezza delle frasi musicali. La sincronizzazione della
melodia e della musicalità delle parole tradotte sono le sfide principali della
traduzione delle canzoni. Traducendo le canzoni, il traduttore deve trasmettere il
messaggio che ha creato l’autore dell’originale in un modo naturale per la lingua
e cultura d’arrivo e, nello stesso tempo, rispettando la lunghezza dei versi
originali e tenendo in considerazione la componente musicale, perché è di
essenziale importanza ricreare l’insieme della componente verbale e quella
musicale. È una relazione molto complessa. Anche valutando le traduzioni delle
canzoni dal punto di vista linguistico si deve ricordare la natura duplice della
canzone, un’opera artistica che ricorre sia nel codice verbale che musicale.
28
1.2 Lingua e canzoni di Napoli
1.2.1. Le origini della canzone napoletana
Questo interessante fenomeno culturale fa parte della storia di Napoli, è
nato e si è sviluppato in seno alla società napoletana in tutte le sue componenti e
ne ha espresso sempre gli umori: è stata voce dolente, passionale, ironica o
semplicemente spensierata dei napoletani di ogni epoca. Le canzoni celebre
hanno tutti i caratteri distintivi della poesia napoletana: il realismo pittorico delle
immagini descritte, l’amore come evasione dal dolore o come tragico destino,
l’affetto familiare, la miseria come piaga sociale (Pittari 2004: 16). Secondo
Enrico Malato, «poesia è la più importante delle forme letterarie in cui la
letteratura dialettale napoletana si è espressa» (Malato 1960: 16).
Il primo frammento di canto popolare napoletano è attribuito alla prima metà del
1200: Jesce sole. È un magnifico esempio di canto popolare napoletano –
spontaneo e semplice:
Jesce sole, jesce sole,
nun te fa’ cchiù suspirà.
Siente maje ca le fogliole
T’hanno tanto da prià?
Con Alfonso I d’Aragona (1443-1458) a Napoli la poesia ha un suo
momento di particolare fioritura, però non può essere definita poesia dialettale in
quanto il suo linguaggio non è quello del popolo: è un dialetto infarcito di
latinismi, toscanismi, spagnolismi, e, infatti, non ebbe nessun successo popolare.
Alla corte di Ferdinando d’Aragona, succeduto al padre Alfonso nel 1458,
vengono invitati illustri musicisti stranieri, viene fondata la prima scuola
musicale, la musica vocale diventa polifonica e sempre più complessa e difficile
È una musica aristocratica, mentre il popolo resta fedele alla monodia e continua
a cantare alla sua maniera.
29
Qualcosa di nuovo si profila all'orizzonte quando i musicisti meno legati
al filone classico si dedicano alla villanella: è un genere poetico-musicale che
nasce dalla canzone popolare, e ha un carattere rustico, spesso scherzoso,
parodico, è un tipo di canzone popolare si canta anche a più voci, con il liuto, la
cetra e il tamburello, e che si balla. Si afferma subito ovunque: nel secolo
successivo arriva in tutta l'Europa e ottiene un grandissimo successo che anticipa
quello della canzone napoletana dell'epoca d'oro (Pittari 2004: 23). In quegli anni
di tanta musica accademica la villanella è stata una novità piacevolissima –
profondamente popolare, contadina, canzone di spensieratezza, di allegria, di
disimpegno. Nel Cinquecento, ovunque si cantavano villanelle alla napoletana e
ne venivano scritte di nuove da autori molto spesso non napoletani. Tra le
villanelle in napoletano è particolarmente nota S'io fosse ciaola. Questa
villanella è forse la prima di quelle tante canzoni, nate successivamente, come la
famosa Nu cardillo, nelle quali uccelli e farfalle sono messaggeri e mezzani
degli innamorati. Quando si parla di umorismo nella canzone napoletana, sono
esemplari i versi di una villanella No pulice, che racconta le pene di un amante
che ha una pulce nell'orecchio:
Corro in qua / Corro in là / Piglia a chesta piglia a chella / Damme soccorso tu
/ Faccia mia bella!
Questa villanella famosa fu scritta da Baldassare Donato, un veneziano: il
motivo per cui la maggior parte delle villanelle furono scritte a Venezia anziché
a Napoli fu la censura. In questo periodo appare La nova gelosia – una delle
prima canzoni rivolte alle finestre che nascondono le donne amate – dove «la
gelosia» è la persiana della finestra (Pittari 2004: 32).
Nel Settecento è arrivato un altro straordinario fenomeno della canzone
napoletana popolare o popolaresca – la tarantella. La tarantella e' stata anche
definita «canzone a ballo», quella che noi oggi chiamiamo canzone ballabile,
quel tipo di canzone che ha avuto il suo exploit nell'ultimo dopoguerra con i
ritmi d'importazione di slow, la beguine, il boogie woogie: Anema e core, Luna
30
rossa, Tu vuo' fa' l'americano. La tarantella è l'espressione più brillante della
musica napoletana: con la sua musica allegra, coinvolgente, che rinfranca lo
spirito, ballata in coppia – simulazione teatrale di un rituale di corteggiamento e
di amore (Ivi: 39).
Nel Quattrocento il dialetto napoletano era stato elevato da Alfonso
d'Aragona a linguaggio ufficiale del suo regno. Tra il Seicento e il Settecento il
dialetto napoletano ha avuto lo sviluppo poetico e letterario di un tale livello da
far parlare addirittura di lingua a sé stante. Benedetto Croce nei suoi «Saggi sulla
letteratura italiana del Seicento» osserva che la poesia di quel periodo fu
«burlesca», ed «ebbe doti di semplicità e verità che difettavano nella
contemporanea letteratura aulica in lingua toscana» (Ivi: 49).
Nel 1709 a Napoli nasce «L'opera buffa», una forma di teatro musicale
leggero e in dialetto, destinata al grande pubblico e che, per altro, contribuisce
notevolmente allo sviluppo e alla diffusione della canzone napoletana. Nell'opera
buffa, della anche opera comica, le canzoni erano un elemento sostanziale e
spesso risolutivo. Un canto popolare in voga, Amiche nun credite a li zitelle,
ironico e simpaticissimo, viene inserito in un’opera buffa del 1783, «Le trame
per amore», libretto di Franco Cerlone, musica di Giovanni Paisiello, musicista
con esperienze internazionali da Pietroburgo a Parigi:
Amiche, non credite a li zitelle
quanno ve fanno squase e li verrizzi,
Ca sogno tutte quante trottatelle,
E pe ve scortecà fanno fenizzi.
Co lo bello e bello pallò,
Co lo nda e ndàndera ndà.
In questo canto appaiono i cosiddetti «mottozzi», che si incontrano spesso
nelle canzoni classiche napoletane, cioè parole accentate senza senso che
contribuiscono sempre brillantemente alla conclusione di un ritornello, di una
31
strofa: nda e ndàndera ndà, 'ntantarandì e ntanderandà, parappapplà
-
carioffolà.
Con l’opera buffa e con le canzoni nel Settecento il dialetto napoletano
dimostra di essere uno strumento capace di esprimere sentimenti e passioni
umane con straordinaria efficacia. È il primo passo verso la più grande e
completa affermazione del napoletano come lingua dei poeti.
Nell’Ottocento sono nati i primi veri capolavori della canzone napoletana.
Sono gli anni dei di foglietti volanti, cosiddette «copielle», vendute a migliaia
per le strade, e dei primi editori-cultori della canzone napoletana che, per altro,
sono andati a cercare i vecchi canti popolari nelle campagne e nei paesi di mare
della costa napoletana. A Napoli nel 1867 erano registrate 124 tipografie.
1.2.2. Epoca d’oro – la canzone classica napoletana
Nell’accezione più diffusa, con il termine «canzoni napoletane» si indica
la vasta produzione vocale, sia popolare che colta, con i testi in dialetto, diffusa
durante il XIX secolo. Secondo alcuni studiosi questo ciclo storico fu consacrato
dal successo riscosso nel 1839 da Te voglio bene assaje durante la prima
Piedigrotta. Le materie trattate nelle canzoni napoletane dell’Ottocento rinviano
ai toni stilistici di semplicità e naturalezza. I caratteri umani ne differiscono
poco; agiscono sullo sfondo dell’ambiente urbano, per le strade, di fronte al mare
splendente nel sole o ai raggi di luna, ma anche a casa. Per lo più sono mossi
dagli estri amorosi di vario esito, ma sono pure sensibili ai casi e agli umori della
realtà che li circonda (Ricordi 2003: 5).
Il dialetto napoletano era il legame che nei secoli ha messo in relazione
strati sociali diversi: emblema di questa funzione è proprio la canzone, che si
esprime con un tono linguistico a mezzo tra gergo plebeo e gusto borghese.
32
Alcuni autori lo facevano apposto: Ferdinando Russo, l’anti-Di Giacomo, il
creatore di un genere nuovo – macchietta, caricatura poetico-musicale di curiosi
e tipici personaggi cittadini – ostentava il lato plebeo della napoletanità, era un
singolare «poète maudit» e nelle sue canzoni si mescolavano il verismo
sanguigno e una tenerezza sensuale (Ricordi 2003: 8).
Piedigrotta, un simbolo di devozione dei napoletani per la Madonna di
Mergellina, è diventata anche luogo di nascita tra il popolo di alcune delle più
belle canzoni napoletane, canzoni che oggi sono pezzi classici. La leggenda di
Piedigrotta risale al XIV secolo, quando una sera la Madonna apparve
contemporaneamente nella grotta di Mergellina a un eremita che coltivava il
culto per una sua Madonnina, a un frate a Pozzuoli e a una suora in Castel
Dell'Ovo e chiese loro di erigere una chiesa vicino alla grotta. Chiesa di Santa
Maria di Piedigrotta fu costruita sulle rovine del vecchio tempio pagano dedicato
a Priapo. La chiesa diventò in poche anni una meta irrinunciabile per tutti i
napoletani tra i quali si sviluppò, in particolare, l'usanza di andare a rendere
l'omaggio alla Madonna di Mergellina nel giorno della sua nascita, l'8 dicembre.
In attesa di entrare nella chiesa di Mergellina, i pellegrini cantavano, ballavano,
mangiavano, bevevano e si sfidavano per imporre ciascuno la supremazia del
proprio gruppo. Secondo la leggenda, tra le sfide in voga, prevalse a un certo
punto, la sfida canora: due gruppi gareggiavano con una canzone scritta per
l'occasioni o presa tra i canti più popolari del momento. La prima canzone
napoletana nata a Piedigrotta, la prima di cui si hanno tracce di storia in questo
senso, è stata Te voglio bene assaje del 1835.
Nella primavera del 1880 esplose il successo di Funiculì Funiculà, che
aprì l'età d’oro della canzone napoletana, con la duplice conseguenza di
sprovincializzarla e di conferirle una solida fama internazionale. Occasione di
nascita di questo canto fu l’inaugurazione di una funicolare che portava fino alla
bocca del Vesuvio. I due autori, il giornalista Peppino Turco e il compositore
Luigi Denza, realizzarono una riuscita operazione di marketing, in un’epoca in
33
cui non esisteva ancora la radio. La canzone assolse brillantemente a questo suo
compito e poi volò in alto, andò per il mondo da sola, con le ali della sua poesia
e della sua musica: le ali di una piccola ma autentica opera d'arte che aprì la
strada alla grande canzone napoletana d'autore. L’editore Ricordi ne stampò
alcune centinaia di migliaia, il compositore tedesco Richard Strauss ne innestò
l’allegro e scoppiettante motivo nel suo poema sinfonico Aus Italien (1886)
(Ricordi 2003: 9).
Funiculì Funiculà ha il carattere del canto popolare e nello stesso tempo
una forma e uno sviluppo nuovi. Il successo di questa canzone dette l'inizio alla
nuova stagione della canzone napoletana d'autore: aprì la mente agli
organizzatori, agli editori e soprattutto agli autori. Si ebbe la prova che una
canzone creata con un linguaggio aggiornato da autori colti, continuatori e non
scopiazzatori
della
tradizione
popolare,
una
canzone
adeguatamente
promozionata, avrebbe potuto conseguire un notevole successo artistico con un
relativo corrispettivo finanziario.
Con i versi di 'O sole mio la poesia napoletana è arrivata a una delle più
alte espressioni poetiche di ogni tempo. I versi sono stati scritti da un uomo
modesto e povero, Giovanni Capurro, ma da un uomo che, evidentemente, era un
poeta vero, ispirato, di straordinarie capacità espressive d'interesse universale. È
un poeta che ha saputo dipingere con del costume della sua epoca. 'O scugnizzo,
pubblicata da Izzo nel 1906, è una delle poesie più belle di Giovanni Capurro,
canzone ma innanzitutto poesia densa di significato, in cui il poeta ha saputo
esprimere delicati sentimenti d'amore, lo spirito, l'ironia tipica del popolo
napoletano, e anche filosofia e le tribolazioni esistenziali della precarietà sociale
e della miseria. Il poeta si interessò agli stessi temi della miseria, della precarietà
e della filosofia del popolo napoletano.
Ma 'O sole mio è la canzone più nota di Giovanni Capurro, quella
conosciuta in tutto il mondo, il simbolo della canzone napoletana e anche della
canzone italiana. Capurro scrisse questi versi nella speranza di guadagnare un po'
34
di soldi di cui aveva bisogno. Consegnò la poesia a Eduardo Di Capua e poi
iscrissero la canzone a Concorso di Piedigrotta, «La tavola rotonda», e
cominciarono a sperare nelle cinquecento lire del primo premio. Ma 'O sole mio
non vinse: si classificò al secondo posto. Di Capua morì povero e dimenticato il
3 ottobre del 1917. Le sue più belle composizioni nacquero sui versi di Vincenzo
Russo, poesie che, evidentemente, avevano la stessa carica di sentimenti e di
passioni naturali della sua bella musica: 'A serenata d’‘e rrose, Maria Mari', I' te
vurria vasa', Torna maggio. Intanto, 'O sole mio andava per il mondo, cantata
dai tenori più famosi come Fernando De Lucia, Enrico Caruso che la portò in
America e da tanti e tanti altri interpreti prestigiosi, ovunque, sino ai più recenti,
alcuni addirittura imprevedibili come Elvis Presley e Josephine Baker (Pittari
2004: 114).
'Mmiezz' 'o grano, Torna a Surriento, 'A tazza 'e caffè, 'A vucchella, Voce
'e notte sono i capolavori che consentono, per altro, di verificare alcuni dei
migliori esempi dell'evoluzione del linguaggio della canzone napoletana, quel
linguaggio che assume una sua ulteriore identità all'inizio del Novecento, e,
come precisa Enrico Malato (Malato 1960: 8): «... si diffonde incontrastata e si
afferma definitivamente la convinzione che possano esprimersi in dialetto quei
pensieri soltanto, quei sentimenti, quelle immagini che non possono essere
espresse adeguatamente in lingua: che diversamente la letteratura dialettale
sarebbe soltanto un vacuo e banale accademismo – un esperimento filologico e
nient'altro – direbbe il Di Giacomo <...> da ciò una spiccata inclinazione verso il
popolo, del quale si cerca di esprimere quei sentimenti semplici, quei costumi,
quei modi di dire e di sentire che non potevano trovare adeguata espressione
nella letteratura in lingua: e da ciò, quindi, l'improvviso rigoglio di una
letteratura tipicamente popolaresca che per prima cosa abbandona in poesia le
tradizionali forme metriche, adottando nuove forme, più semplici ed agili,
meglio adatte a esprimere i motivi che caratterizzano la nuova letteratura
dialettale" (Pittari 2004: 119-120).
35
L'opera dei poeti dialettali da Salvatore Di Giacomo, a Giovanni Capurro,
da Roberto Bracco a Rocco Galdieri, a Libero Bovio denota sempre una
attentissima coscienza d'arte, uno scrupolo stilistico sorvegliatissimo e
addirittura puntiglioso. Di pari passo, anche il dialetto si evolve, perché non è
più mero mezzo di comunicazione ma diventa esso stesso materia d'arte e
strumento sensibilissimo a significare stati d'animo, sfumature di sentimento,
luci d'ideali (Ibidem).
Alberto Consiglio osserva che «...questa poesia raggiunge un alto grado di
purezza e una immediata efficacia d'espressione, quando il sentimento personale
del canzoniere si fonde col sentimento popolare». E per questa ragione, lo
studioso nella sua Antologia dei poeti napoletani assegna alle canzoni «un posto
non inferiore a quello delle pure poesie». «Le canzoni, quando raggiungono le
dimensioni della poesia, entrano per la porta maestra: le liriche brevi di
canzonieri napoletani diventano come un ponte nel futuro, attraverso il quale la
vita sentimentale d'autore entra nella vita dei posteri, anonimo l'uno e gli altri»
(Consiglio 1973: 45).
Negli anni che noi stiamo osservando, il linguaggio della poesia
napoletana va solo per il mondo con la musica napoletana nell'espressione
artistica che il grande pubblico recepisce più facilmente e gradisce moltissimo: la
canzone (Pittari 2004: 123).
1.2.3. Le vie di ulteriore sviluppo del dialetto napoletano
Le iniziative per la valorizzazione e tutela della canzone napoletana non
mancano, sia nell’ambito artistico che scientifico.
Alla fine degli 1960, quindi insieme con le ultime edizioni del Festival di
Napoli e con il tramonto dell’epoca classica della canzone napoletana a Napoli è
36
stato creato un gruppo musicale «Nuova Compagnia di canto popolare» con un
solo obiettivo – di non lasciare spegnersi la popolarità della canzone napoletana.
Fino alla fine degli anni ’70 il gruppo gode il successo ai festival internazionali,
ma negli anni ’80 la musica popolare entra in crisi come genere musicale. Il
gruppo si rinnova e ritorna negli 1990, ritorna anche il loro successo.
Partecipano due volte a San Remo. All’inizio degli anni 2000 esce un nuovo
album dove i musicisti sperimentano con i motivi napoletani e gli altri ritmi
mediterranei. Le interpretazioni e arrangiamenti diversi della canzone classica
napoletana testimoniano che questo fonte non smette si ispirare i musicisti
italiani. Tra i libri dedicati alla canzone napoletana sono:
Vittorio Palioli, Storia della canzone napoletana, Roma, Newton & Compton,
2004;
Monica Florio, Il guappo: nella storia, nell’arte, nel costume, Napoli, Kairos
edizioni, 2004;
Simona Frasca, La canzone napoletana negli anni dell’emigrazione di
massa//Altreitalie, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004;
Canta Napoli illustrata: paradigmi iconografici dell’industria culturale
partenopea tra Otto e Novecento, Rosa Viscardi, Napoli, Sigma libri, 2005;
Antonio Grana, Malafemmena!: Donne perfide nella canzone classica
napoletana, Napoli, Intra Moenia, 2008;
e un lavoro in sette volumi di Pietro Gargano, La Nuova enciclopedia illustrata
della canzone napoletana, Napoli, Magmata, 2015.
L’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (ISSM) del Consiglio
Nazionale delle Ricerche (CNR) sta dedicando una particolare attenzione alla
canzone napoletana come esempio di fenomeno culturale complesso. Il libro "La
canzone napoletana. Tra memoria e innovazione" è il primo prodotto dell’ISSM,
il volume è composto di saggi, ed è particolare per il suo approccio
37
multidisciplinare e quindi per l’ampia varietà degli argomenti trattati (Pesce,
Stazio 2013: 10). Alcuni argomenti sono puramente dell’ambito teorico-musicale
e analizzano il tessuto musicale della canzone napoletana, come nel saggio
«Canti paralleli» di Giovanni Auletta; alcuni si concentrano sull’aspetto
letterario e di stilistica, come «Presentazione e i primi risultati di un’analisi
stilistica sulla canzone napoletana» di Giorgio Ruberti; altri sono dedicati alle
novità digitali e al loro possibile impiego nella valorizzazione e diffusione della
canzone napoletana.
Nel 2003, in omaggio a Sergio Bruni, un grande interprete della canzone
napoletana (antica ma soprattutto classica) e anche compositore, è stato ideato da
Salvatore Palomba «Il Premio Villaricca Sergio Bruni. La canzone napoletana
nelle scuole». Il Premio si pone l’obiettivo di stimolare l’interesse per la lingua,
la poesia e la canzone napoletana, specialmente tra i ragazzi e i giovani, affinché
riscoprano radici e valori fondamentali della loro cultura. La canzone ha
rappresentato nei suoi cinque secoli di vita la forma di poesia più vicina al
popolo, raccontandone le passioni, l’indole, la storia e i costumi, e fa parte perciò
del patrimonio sentimentale e culturale della gente napoletana.2
Per quello che riguarda la tutela del dialetto napoletano, l’Associazione
Giambattista Basile3 organizza un festival annuale «’A festa d’ ‘a lengua nosta».
Il festival è dedicato in primo luogo alla conoscenza del dialetto napoletano, e
anche alla storia, cultura e traduzioni di Napoli.4 In IV edizione, in particolare, in
programmazione erano le prove di napoletano scritto e parlato, un test per
verificare la conoscenza del dialetto, letture a voce alta di testi antichi nonché
incontri e convegni sulla lingua e sulla sua ortografia. La V edizione del 2016 si
inizierà con l’inaugurazione della Biblioteca Storica Napoletana che metterà a
disposizione dei cittadini i maggiori testi sul dialetto napoletano.5
2
http://www.premiovillariccasergiobruni.it/regolamento.htm
http://www.associazionecircoloartistico.it/manifestazione-a-festa-da-lengua-nostra/
4
http://grandenapoli.it/evento/festa-d-lengua-nosta-tre-giorni-dedicati-alla-lingua-napoletana/
5
http://www.napolidavivere.it/2015/05/12/festa-per-il-dialetto-napoletano-dal-13-al-15-maggio-2015/
3
38
Per capire lo stato attuale del dialetto napoletano e un importante ruolo
della canzone e poesia napoletana nel suo destino, vorremmo riportare qui alcuni
considerazioni di un poeta napoletano che in prima persona osservava i
cambiamenti del dialetto napoletano per la maggior parte del XX secolo.
Salvatore Palomba, nato nel 1933, un poeta, saggista, autore di canzoni
napoletane e dei numerosi articoli sulla lingua napoletana, in un intervista6 ha
espresso la sua perplessità sulla forma scritta della lingua napoletana: «Saranno
venti o trent’anni che la lingua napoletana non viene quasi più letta, i giornali
non pubblicano più testi in dialetto, i testi delle canzoni vengono pubblicati – e
solo in qualche caso – all’interno dei CD. L’unico modo per imparare a scrivere
in napoletano resta quindi la lettura di libri di poesia dialettale, ma tra i giovani
non c’è sufficiente interesse. Ognuno scrive a modo suo e il napoletano diventa
incomprensibile, perché è una lingua che si parla in un modo e si scrive in un
altro, e se non ci sono dei canoni condivisi diventa difficile da decifrare. Certo,
neanche i grandi autori del passato, come Salvatore Di Giacomo, Vincenzo
Russo, Libero Bovio usavano tutti precisamente la stessa grafia, perché il
dialetto non ha regole precise, ma c’era una larga base comune a cui fare
riferimento. I giovani invece non leggono quasi più la lingua napoletana, e nelle
nuove canzoni non ci sono quasi più testi scritti in un napoletano decente».
Secondo il poeta, si tratta di una fase molto particolare che prelude alla
fine del dialetto: «Oggi si parla una strana commistione tra i due idiomi, un
mezzo italiano unito ad un mezzo napoletano, dovuta al fatto che alla fonte della
lingua parlata in famiglia si è aggiunta quella della televisione. Ognuno impara il
dialetto a modo suo e quindi con più frammentazione e povertà di vocaboli».
Inoltre, il poeta accenna ad un fenomeno molto importante di carattere
sociale. Il dialetto per le persone che si vogliono emancipare rappresenta una
specie di ghettizzazione: «Certa gente evita di parlare in dialetto e preferisce
“La lingua della madre”, Salvatore Palomba, 2009, http://www.arrevuoto.org/scritture/la-lingua-dellamadre-salvatore-palomba/
6
39
parlare il brutto italiano della pubblicità e della televisione. È una questione
sociale che non ha delle basi storiche, al contrario, prima anche l’aristocrazia
parlava il napoletano. Purtroppo, questo vergognarsi di parlare in dialetto non
corrisponde ad una riduzione dell’ignoranza, che invece dovrebbe avvenire con
una trasformazione più armonica e regolare. L’ignoranza sta proprio nel rifiuto
del dialetto, perché bisognerebbe parlare bene sia l’italiano sia il napoletano, e
invece spesso non si parla bene né l’uno né l’altro».
«Ed è un peccato che questa ricchezza vada perduta, il dialetto certamente
rappresenta il popolo», nota con rancore il poeta. «La chiave è capire che non è
vero che il dialetto napoletano è il simbolo di una condizione inferiore, di
persone non scolarizzate, ma per capirlo ci vuole un’autorità. La soluzione
starebbe nel cercare di riscoprire il dialetto, di rivalutarlo», dice il poeta, secondo
il quale scuola bisognerebbe insegnare anche il dialetto, altrimenti diventerà una
lingua morta: «Credo che bisogna fare un’operazione di insegnamento della
lingua napoletana, ma in modo coinvolgente. Bisogna provare con la poesia, la
poesia è più immediata».
40
Capitolo II. Canzone classica napoletana nelle traduzioni in
russo e in inglese
2.1 Dialetto napoletano
Il napoletano è una variante diatopica del gruppo italiano meridionale e
viene parlato prima di tutto in Campania, Abruzzo, anche in Lazio meridionale,
Molise e nelle parti alte della Puglia e della Calabria.
Com’è stato detto nel capitolo precedente, l’uso del dialetto napoletano
prevale nella forma parlata. Anche se il napoletano è segnato da una ricca
tradizione letteraria e teatrale, manifesta e manifestava ancora nell’epoca d’oro
della canzone napoletana una serie dei problemi tipica per quasi ogni dialetto. La
pratica del parlato si presenta molto diversa da quella della scrittura, che si
prospetta piuttosto complessa; nei testi dei canti le varietà grafiche, e di
conseguenza fonetiche, sono numerose. In situazione di assenza di grammatica e
di grafia codificate del napoletano, che siano insegnate a scuola, si scrive nei
modi diversi e spesso addirittura come si parla. Il dialetto è in evoluzione
continua, ed è un’evoluzione più veloce e caotica rispetto a quella della lingua
nazionale. Questa è una delle ragioni perché la grammatica napoletana è un
fenomeno abbastanza complesso. Anche se evidentemente non esiste
un’opinione univoca su questo tema, vorremmo elencare alcuni tratti essenziali
del dialetto napoletano.
L’alfabeto napoletano consta di sedici consonanti e cinque vocali,
pronunciabili in certi casi con un suono prolungato (c’ ‘a, d’ ‘a), semimuto
(quanta, Napule), chiuso (palomma).
A seguito dell'indebolimento della vocale finale, molti sostantivi hanno
una pronuncia identica sia nel singolare che nel plurale. Le due forme si
distinguono grazie all'utilizzo del differente articolo, alla presenza o meno del
41
rafforzamento sintattico, alla concordanza del verbo. Altri sostantivi hanno
invece una forma distinta per il plurale, talvolta basata sulla mutazione della
vocale tonica, per esempio «'o cartone» in plurale diventa «'e cartune». La
mutazione della vocale tonica serve anche ad ottenere il maschile di diversi
aggettivi o sostantivi, per esempio «rossa» diventa «russo» (la finale «o» oppure
«a» si pronunciano tutte e due come ə). Si tratta del fenomeno della metafonia.
Esiste anche una pronuncia forte. In questi casi si pronuncia una «u»
finale per la forma maschile, una «a» finale per quella femminile ed una «i»
finale per le forme plurali maschili o femminili. La pronuncia forte si utilizza in
casi ben specifici. Per esempio, con alcuni aggettivi, se posti prima del
sostantivo a cui si riferiscono: nu bellu guaglione; se però avessimo detto nu
guaglione bello le vocali poste in finale di parola avrebbero avuto il suono
indistinto della pronuncia debole abituale.
In napoletano esiste il genere neutro, lo ritroviamo ad esempio negli
aggettivi dimostrativi, e nella diversità di regole del neutro rispetto agli altri due
generi in caso di raddoppiamento sintattico, ad esempio 'o niro può riferirsi ad
una persona di colore di sesso maschile, 'o nniro, col raddoppiamento
fonosintattico della n, è adoperato al neutro e si riferirà al colore nero
generalmente inteso.
L'aggettivo possessivo segue sempre il nome a cui si riferisce, per
esempio 'o sole mio, ed in alcuni casi si lega per enclisi ad esso: ciò avviene con
alcuni nomi di parentela al singolare quando il possessore sia di prima o seconda
persona singolare, per esempio fràtemo, sòreta, ma 'o frate vuosto, 'a sora soja,
etc.
Il corrispondente napoletano del verbo «avere» è spesso usato come verbo
ausiliare anche lì dove in italiano si utilizzerebbe essere, per esempio con i verbi
riflessivi oppure con i verbi di movimento (aggio juto, aggio venuto). Tale
fenomeno non è omogeneo e tende ad essere meno diffuso nella parlata cittadina,
rispetto a quella della campagna, e in quella delle classi più istruite. Il
corrispondente napoletano del verbo «tenere» (tènere oppure tené) è usato in
42
luogo del corrispondente diretto di avere in tutti i casi in cui indica possesso
oppure una condizione come l'appetito, la sete, ecc. In luogo del verbo «dovere»
si usa la locuzione avere a (aggio 'a fa, hadde a venì). Essa ha subìto numerose
varianti ed accorciamenti nei vari usi locali, ad esempio «eggia» invece di
«aggio 'a», «amme a» (amm'a), «émme a» (émm'a) o addirittura «imme a»
(imm'a) in sostituzione di «avimmo 'a» ecc.
Le parole che iniziano con una «i» semivocalica (spesso trascritta come
«j»), cioè con una «i» seguita da un'altra vocale, aggiungono al principio della
parola il suono «ggh» se sono sottoposte a raddoppiamento sintattico, per
esempio davanti all'articolo femminile plurale, con la preposizione «pe», eсс.
Un'applicazione di questa regola è il plurale di «'a jurnata»: «'e gghiurnate». In
presenza dei dittonghi «ae», «ea», «oe», «ue» si interpone una j tra le vocali
(nuje, accattaje). La pronuncia delle consonanti tende al raddoppiamento, anche
quando non è indicato graficamente (pe’ mare, ad esempio, si pronuncia con
doppia emme); ancora, se la consonante è l’iniziale di una parola che segue
un’altra che termina con vocale, il raddoppiamento è espresso graficamente
(cca’, cchiu’). La preposizione in aferizzata (‘n) si fonde con la parola seguente
(ncoppa); davanti a parole inizianti con m e p si tramuta in m (mpietto).7
2.2 Analisi delle traduzioni
Nell’analisi delle traduzioni di canzoni saranno usati i seguenti criteri:
1. Equivalenza e adeguatezza
2. Se la forma è stata rispettata o meno
3. Se il contenuto è stato rispettato o meno
Proponiamo una classifica delle deviazioni sul piano del contenuto:
7
Canti napoletani d’autore dell’Ottocento (1835-1898), Ricordi, BMG Publications S.r.l. 2003, p. 10
43
1. Deviazioni che hanno una giustificazione legata alla struttura dell’originale
(ritmo, forma, stile, lunghezza dei versi originali ecc.) e i cui risultato può essere
definito positivo.
2. Poche deviazioni all’interno di una canzone, che però hanno comportato un
rilevante cambiamento di senso. Tali deviazioni sono possibilmente legati ad una
mancata comprensione.
3. Deviazioni sistematiche o una totale deviazione senza un’evidente motivo
legato alla struttura dell’originale. Tali deviazioni probabilmente sono legate al
carattere dei requisiti per una canzone quando entra un ambiente culturale e
linguistico nuovo, al suo eventuale ruolo nella cultura d’arrivo: quando non deve
essere equivalente, quando non c’è lo scopo di trasmettere gli stessi sentimenti, il
carattere e l’identità della canzone al pubblico nuovo.
Saranno evidenziate anche le soluzioni fedeli al testo originale, che però non
producono lo stesso effetto.
Per rendere l’analisi delle canzoni chiara e ben strutturata, è stato deciso di
proseguire in modo seguente per ogni canzone e la rispettiva traduzione (oppure
le traduzioni): cominciare da una breve premessa storica, poi passare alla
descrizione della struttura (forma) e del contenuto della traduzione in confronto
all’originale, e in base di ciò concludere con valutazione di equivalenza e
adeguatezza della traduzione.
2.2.1. Dicitencello vuje – Скажите, девушки, подружке вашей – Just Say I
Love Her
Questa canzone fu scritta nel 1930, le parole appartengono a Enzo Fusco, la
musica è di Rodolfo Falvo.
Nell’URSS per la prima volta la canzone usci in lingua russa nel 1936
sotto il nome «Скажите, девушки» (si trova anche «Скажите, девушки,
44
подружке вашей»). A tradurla fu Mikhail Ulickij, un poeta e traduttore. A
questa persona appartengono tante traduzioni delle canzoni napoletane (i quali
vedremo ancora in questo capitolo), in questo senso è uno dei suoi divulgatori
più importanti in territorio sovietico. A eseguire la canzone in russo furono i
cantanti famosi come Segej Lemešev, Leonid Utёsov ed altri. La cantava anche
Muslim Magomaev, però già in originale.
Quando M. Gorbačiov, caduto il muro di Berlino, venne in Italia,
ascoltandola sul palco del «Maurizio Costanzo show» non riuscì a trattenere le
lacrime perché era la canzone preferita di sua moglie Raissa, deceduta l’anno
precedente. Ecco un piccolo passaggio di un’intervista con Gorbačiov pubblicato
nel giornale «Izvestija» il 20.09.2001 dove parla della sua moglie e della
canzone napoletana:
- Тогда было поветрие такое, после войны все разучивали бальные танцы.
И пели неаполитанские песни. У Раисы Максимовны была любимая песня
"Скажите, девушки, подружке вашей...". Она часто просила меня петь
ей.8
In questa canzone c’è una peculiarità che merita una particolare
attenzione: ad un certo punto si rivela che «cumpagna vostra» è proprio
l’interlocutrice dell’uomo, e questo discorso appassionato in realtà è rivolto a lei.
Purtroppo proprio questa particolarità manca di espressività nella traduzione
russa, o più precisamente non viene quasi esplicitata. È poco probabile che gli
ascoltatori potevano coglierla, non conoscendo l’originale. L’ultimo ritornello
della traduzione può essere percepito come la continuazione del discorso diretto:
Я б ей сказал: «Напрасно ты скрываешь, / Что нежной страстью ко мне
сама пылаешь» / Расстанься с глупой маскою и сердце мне открой», quindi
il pubblico non può capire che il protagonista in realtà rivolge il suo discorso
amoroso alla sua interlocutrice, all’inizio in un modo indiretto, fingendo di
8
http://www.gorby.ru/gorbacheva/in_press/show_28212/
45
essere innamorato di un’amica dell’interlocutrice, ma poi apertamente, dopo aver
visto le lacrime della ragazza, anch’essa innamorata di lui. Questo episodio con
le lacrime (terza strofa originale) è assente nella traduzione russa, il che rende la
comprensione dello sviluppo inaspettato della storia impossibile per gli
ascoltatori della traduzione. La struttura della canzone,quindi, è stata cambiata.
L’originale è composto di 3 strofe e 3 ritornelli, la traduzione – di 2 strofe e di 2
ritornelli.
Già nel titolo notiamo un errore di traduzione: Vuje (Voi) è stato tradotto
come se fosse seconda persona plurale, mentre è una forma che si usa in alcuni
dialetti del Sud per indicare la terza persona singolare – Lei. Anche «vosta» è
stato interpretato come plurale, e di conseguenza nella versione russa vi è
un’altra situazione sin dall’inizio: il protagonista si rivolge ad un gruppo delle
ragazze.
La prima strofa è stata tradotta in una maniera che conserva il carattere
poetico dell’originale, e sarebbe stata una traduzione fedele all’originale sul
piano del contenuto se non la sostituzione della terza persona singolare con la
seconda plurale; inoltre c’è un passaggio che abbassa la tensione emotiva, il
grado della disperazione dell’innamorato rispetto all’originale: «ch' 'a penzo
sempe, ch'è tutt' 'a vita mia» – «что всех красавиц она милей и краше».
Il primo ritornello presenta subito una rielaborazione del significato: si
parte dallo stesso concetto, ma il modo di esprimerlo è diverso: «'A voglio bene,
'a voglio bene assaje» diventa «Очей прелестных огонь я обожаю».
«Dicitencello vuje ca nun mm' 'a scordo maje» è trasformato in «Скажите, что
иного я счастья не желаю»: tutte e due espressioni hanno un nucleo semantico
del rifiuto di amare un’altra persona. Più avanti c’è «È na passione, cchiù forte 'e
na catena» tradotta come «...нежной страстью, как цепью, к ней прикован»:
nell’originale si parla di una passione più forte di una catena, nella traduzione –
di una passione tenera, che lega il protagonista alla sua amata, come una catena,
46
quindi la metafora è conservata nella traduzione, ma è cambiato il carattere
emotivo. Nella frase seguente si continua di parlare della passione: «ca mme
turmenta ll'anema e nun mme fa campá», invece nella traduzione il soggetto
grammaticale cambia, si parla direttamente della ragazza, usando il materiale
della frase originale: «без нее в душе моей тревоги не унять».
La seconda strofa della versione russa presenta un ibrido di alcuni
elementi della seconda e terza strofa originali. Il traduttore, però, per qualche
motivo omette proprio la parte essenziale che permette agli ascoltatori di
scoprire che tutto questo tempo il uomo fingeva di essere innamorato di
un’amica della sua interlocutrice, in realtà voleva vedere la sua reazione per poi
rivelare a lei i suoi sentimenti: «Na lácrema lucente v'è caduta, dicíteme nu poco,
a che penzate? Cu st'uocchie doce, vuje sola mme guardate. Levámmoce 'sta
maschera, dicimmo 'a veritá». Nella nostra opinione, questa omissione potrebbe
essere legata all’errore di traduzione (ovvero di comprensione) che abbiamo
evidenziato all’inizio: il pronome Vuje interpretato come «вы», la seconda
persona plurale. Detto ciò, si può immaginare che la situazione descritta nella
terza strofa originale fosse stata incomprensibile per il traduttore – chi di tutte
questa ragazze piange e perché? Chi guarda il protagonista «cu st’uocchie doce»
e chi deve levare la maschera? Quindi il traduttore probabilmente abbia deciso di
sintetizzare il contenuto di due strofe, rielaborando:
«...Da 'a vocca soja ... i' giá vulesse sèntere ch'è 'nnammurata 'e me» => «Я б ей
сказал: напрасно ты скрываешь, что нежной страстью ко мне сама
пылаешь», «...Levámmoce 'sta maschera, dicimmo 'a veritá» => «Расстанься с
глупой маскою и сердце мне открой».
In questa strofa il traduttore passa dalla terza persona, Vuje, alla seconda,
tu, ma né qui, né nell’ultimo ritornello questo cambiamento del pronome non
trasmette l’evoluzione della trama dell’originale. Come abbiamo spiegato prima,
il «punto chiave» della canzone ha luogo tra la terza strofa, che appunto manca
47
nella traduzione russa, e il seguente ritornello, che è presente nella traduzione ma
non può produrre lo stesso effetto senza la strofa precedente, quindi l’ultimo
ritornello corrisponde a quell’originale solo formalmente.
Sarebbe difficile dire con certezza a proposito dell’interpretazione del
«Vuje» se il traduttore abbia sbagliato oppure abbia introdotto i cambiamenti
sopradescritti consapevolmente nella ricerca della migliore espressione poetica,
visto che parliamo di un traduttore che era anche un poeta. Però ci sembra
un’omissione che ha portato ad una perdita di un dettaglio molto importante sul
piano del contenuto, nonché’ sul piano estetico. Nella nostra opinione fosse stato
meglio cercare di ricreare questo dettaglio nella traduzione, la quale, nonostante
tutto ciò che è stato detto, rimane una traduzione che ha soddisfatto un’esigenza
molto importante – di trasmette profondamente e sensibilmente lo spirito
dell’originale.
Nel 1950 apparve una versione inglese «Just say, I love her» scritta da
Martin Kalmanoff, a quell’epoca un famoso pop-musicista, e co-autori Jimmy
Dale, cantante di stile country, Sam Ward e Jack Val. Ad eseguire la versione
furono i famosi Dean Martin, Nina Simone, Eddie Fisher, Tony Bennet ed altri.
La versione inglese è un remake, sia sul piano musicale che testuale.
Quindi dall’inizio non sarebbe giusto applicarci i criteri che usiamo per valutare
le traduzioni. Però ci sembrava importante includere questa canzone nella nostra
ricerca, perché rappresenta il patrimonio napoletano nella lingua inglese e, anche
se evidentemente è stata adattata allo stile musicale americano di quei tempi, fa
parte della storia della canzone classica napoletana.
Siccome la musica qui è una variazione sul tema del ritornello, vi è un
ritmo diverso, e il traduttore non aveva la necessità di attenersi tutto il tempo alla
metrica dell’originale. Nella prima strofa le righe numero 6 e 7 sono più corte
rispetto a quelle originali di una sillaba. La forma ha subito delle modifiche
molto più profondi rispetto alla versione russa: il testo presenta un solo blocco,
48
senza strofe e ritornelli. Il senso è conservato solo in linea generale – un uomo
chiede a qualcuno di rivelare i suoi sentimenti ad una ragazza. Nonostante ciò, in
questa versione è evidente il contrappunto dell’originale. Prima di tutto, il titolo:
visto che il punto di partenza musicale è il ritornello, la prima riga di esso – «'A
voglio bene» – diventa il titolo. «Just say» viene aggiunto per far coincidere il
testo con il ritmo e per far capire subito che il protagonista chiede qualcuno di
essere un messaggero – come «dicitencello». La frase «...without her my dreams
are all in vain» rimanda a «nun mme fa campá». L’immagine della catena non è
stato riproposto, ma troviamo invece «...i need her like roses need the rain» –
una metafora dei fiori che muoiono senza l’acqua, come il protagonista non può
vivere senza la sua amata. Il fatto che dall’inizio il protagonista parla proprio la
ragazza di cui è innamorato è omesso completamente. Inoltre, in questa versione
non sappiamo neanche all’inizio a chi si rivolge il discorso, ma la possibilità che
è la ragazza di cui è innamorato il protagonista è esclusa. La situazione che viene
descritta più avanti non esiste nell’originale: «I was a fool to leave her ... want
her back again». È la storia di due persone che si amavano nel passato ma che si
sono separate, invece nell’originale vediamo una timida e appassionata
confessione nell’amore che non si è ancora realizzato.
Com’è già stato detto, questa versione è un remake, ed è adeguato alle
funzioni del tale: interpretare l’originale in un’altra chiave, rinnovarlo e
cambiarlo secondo le esigenze del tempo. Senza dubbio, il fatto che la versione
inglese è stata scritta vent’anni dopo, non è del tutto irrilevante. Il distacco
temporale già da sé spiega e giustifica le interpretazioni molto diverse
dall’originale dal punto di vista stilistico e funzionale. Ma se ci chiediamo
perché c’è stato questo distacco temporale prima che la canzone fosse stata
«importata» nella lingua inglese, otterremo più risposte. Prima di tutto, già
dall’inizio del secolo XIX le canzoni napoletane arrivavano in America insieme
con gli emigranti napoletani. La tradizione teatrale napoletana ha conquistato
New York e gli americani, anch’essi conquistati dalla moda napoletana,
49
compravano gli spartiti delle canzoni e le imparavano in originale, anche senza
capirne il contenuto. Può essere che l’epoca della riscoperta della canzone
napoletana, delle sperimentazioni con il suo materiale è arrivata, appunto, solo a
metà del secolo XX.
Dicitencello vuje
1. Dicitencello a 'sta
cumpagna vosta
ch'aggio perduto 'o
suonno e 'a fantasia,
ch' 'a penzo sempe,
ch'è tutt' 'a vita mia.
I' nce 'o vvulesse dicere,
ma nun ce 'o ssaccio dí.
Скажите, девушки,
подружке вашей
1. Скажите, девушки,
подружке вашей,
Что я не сплю ночей, о
ней мечтаю,
Что всех красавиц
она милей и краше,
Я сам хотел признаться
ей,
Но слов я не нашёл.
Rit.'A voglio bene,
'a voglio bene assaje.
Dicitencello vuje
ca nun mm' 'a scordo
maje.
È na passione,
cchiù forte 'e na catena,
ca mme turmenta
ll'anema
e nun mme fa campá.
Пр. Очей прелестных
огонь я обожаю,
Скажите, что иного
я счастья не желаю,
Что нежной страстью,
как цепью, к ней
прикован,
Что без нее в душе
моей тревоги не унять.
2. Dicitencello ch'è na
rosa 'e maggio,
ch'è assaje cchiù bella 'e
na jurnata 'e sole.
Da 'a vocca soja,
cchiù fresca d' 'e vviole,
i' giá vulesse sèntere
ch'è 'nnammurata 'e
me.
2. Когда б я только
смелости набрался,
Я б ей сказал:
«Напрасно ты
скрываешь,
Что нежной страстью
сама ко мне пылаешь.
Расстанься с глупой
маскою и сердце мне
Just Say I Love Her
Just say I love her
I've loved her from the
start
And tell her how I'm
yearning
To say what's in my
heart
Just say I need her
As roses need the rain
(6)
And tell her that without
her (7)
My dreams are all in
vain
If you should chance to
meet her
Anytime, anywhere
I was a fool to leave her
Tell her how much a fool
can care
And if she tells you
She's lonely now and
then
Won't you just say I love
her
And want her back again
50
открой».
Rit. 'A voglio bene,
'a voglio bene assaje.
Dicitencello vuje
ca nun mm' 'a scordo
maje.
E' na passione,
cchiù forte 'e na catena,
ca mme turmenta
ll'anema
e nun mme fa campá.
3. Na lácrema lucente
v'è caduta,
dicíteme nu poco, a che
penzate?
Cu st'uocchie doce,
vuje sola mme guardate.
Levámmoce 'sta
maschera,
dicimmo 'a veritá.
Rit. Te voglio bene,
te voglio bene assaje.
Si' ttu chesta catena
ca nun se spezza maje.
Suonno gentile,
suspiro mio carnale,
te cerco comm'a ll'aria,
te voglio pe' campá.
Пр. Очей прелестных
огонь я обожаю,
И на земле иного я
счастья не желаю,
К тебе я страстью как
цепью прикован,
Хочу тебе всю жизнь
отдать,
одной тобой дышать...
2.2.2. ‘O sole mio – Моё солнышко– It’s now or never
La canzone fu creata nel 1898, i versi sono di Giovanni Capurro, la
musica è di Eduardo Di Capua. «'O Sole mio» è una delle canzoni più famose
di tutti i tempi, ma i suoi due autori morirono in povertà: hanno venduto tutti i
diritti d’autore all’editore Bideri per 25 lire. Secondo Paquito del Bosco, il
direttore artistico dell'Archivio sonoro della canzone napoletana, che ha dedicato
a questa canzone un intero libro «'O sole mio. Storia della canzone più famosa
del mondo», la canzone fu scritta sull’ordine del conte Polenov e fu presentata
51
per la rima volta a San Pietroburgo. La musica è stata creata da Di Capua durante
il suo soggiorno a Odessa.
Nell’Unione Sovietica la versione tradotta da Mikhail Pugačiov è la più
popolare. Alla fine degli anni ’40 – all’inizio ’50 la versione russa veniva spesso
eseguita da Mikhil Aleksandrovič.
Nella prima strofa originale viene descritta una giornata di sole: l’autore
parla dell’aria serena dopo una tempesta, poi dell’aria fresca che fa venire una
sensazione come se ci fosse una festa. Nella traduzione russa è descritto il sole: il
sole che brilla dopo una tempesta, che con il suo raggio miracoloso risveglia
tutto attorno di sé e che fa rivivere l’erba. Il concetto fondamentale – il ritorno
del sole, il risveglio della natura e della vita – è evidente nella traduzione, viene
esplicitato in un modo diverso ma non comporta ad una perdita nei nuclei del
significato importanti.
Nel ritornello gli aggettivi comparativi corrispondono a ciò che è stato
usato in precedenza: «bella cosa è 'na jurnata 'e sole» => «Ma 'n'atu sole cchiù
bello, oi nè», «Как ярко светит после бури солнце » => « Я знаю солнце
ещё светлей». La frase seguente «'O sole mio sta 'nfronte a te» è stata
interpretata come «солнце твоих очей», il traduttore ha trovato un’ espressione
poetica equivalente che è anche molto espressiva ed elegante. L’autore usa
l’aggettivo possessivo «mio» per descrivere quel sole più bello, per sottolineare
che solo di questo sole lui ha bisogno. Questo dettaglio viene ripreso alla fine del
ritornello russo: «одна, о дорогая, одна ты солнышко мое». Una particolarità
del dialetto napoletano qui’ è «oi nè». La locuzione «oi nè» è un residuo
spagnolismo che significa «o ragazza» (con la «о» vocativa e non esclamativa),
dallo spagnolo «niña», divenuto poi in napoletano «nenna» e quindi «nè»). Il
traduttore ha trasmesso questa particolarità con «о дорогая».
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La seconda strofa originale è completamente omessa nella versione russa.
È una strofa ricca dei ritratti della vita napoletana – una lavandaia che torce e
stende, cantando, un innamorato che guarda la finestra della sua amata.
La terza strofa russa corrisponde alla terza strofa originale solo
parzialmente: la parte centrale della strofa (ma centrale anche sul piano dello
sviluppo della trama) «...mme vene quase 'na malincunia; sott' 'a fenesta toja
restarria...» viene omessa, invece si descrive il sole al tramonto in un modo
simile a come si descriveva nel primo ritornello, anche se nell’originale si dice
solo che il protagonista vorrebbe venire sotto la finestra della sua amata quando
il sole scende.
Dato che tutte le parti della canzone che descrivono la finestra vengono
eliminate, si può dire che l’accento è stato spostato consapevolmente, e il
spostamento è abbastanza significante: rende la versione russa più impersonale,
rivolta ad una persona astratta, mentre l’originale accenna ad un luogo fisico
dove il protagonista può vedere l’oggetto del suo amore.
La prima traduzione inglese della canzone risale al 1915 – «My sunshine»
cantata da Charles Harrison. La seconda versione inglese è «There’s No
Tomorrow» cantata da Tony Martin nel 1949. Dopo dieci anni Elvis Presley, che
in quel periodo faceva il servizio nell’esercito americano e si trovava in
Repubblica Federale Tedesca, ha sentito questa versione e quando il suo editore
musicale Freddy Bienstock è venuto a trovarlo l’ha chiesto di preparare un
remake della canzone specialmente per lui. E proprio questa nuova versione è
diventata la versione inglese più famosa e riuscita – «It’s Now or Never»
eseguita da Elvis Presley nel 1960. Si colloca all’inizio della lista «Singoli più
venduti nel mondo» – ne sono state vendute circa 20 milioni di copie.
Come nel caso della versione inglese di Dicitencello vuje, ci troviamo di
fronte ad un remake. In questa versione si comincia con un ritornello (in totale vi
sono tre ritornelli), poi segue la prima strofa (le strofe sono due). La metrica
53
coincide con quella originale, perché la veste musicale non ha subito dei
cambiamenti troppo profondi (anche’ se l’arrangiamento ne cambia sicuramente
lo stile), il che non si può dire del contenuto. È risultato impossibile trovare
alcun tipo di corrispondenza semantica. La canzone è stata scelta da Elvis
sicuramente non per i motivi del suo contenuto – come è già stato detto, l’ha
ispirato la versione di Tony Martin, anch’essa troppo lontana dal contenuto
originale. La musica della canzone era ciò che ha conquistato Elvis. Amava tanto
le canzoni napoletane e italiane e teneva i cantanti di origine italiana come i
modelli di riferimento, ma è chiaro che lo stile di ‘O sole mio è incompatibile
con la personalità e stile musicale di Elvis.
54
‘O sole mio
1. Che bella cosa è
'na jurnata 'e sole,
'N'aria serena
doppo 'na tempesta!
Pe' ll'aria fresca
pare già 'na festa.
Che bella cosa è
'na jurnata 'e sole!
Моё солнышко
1. Как ярко светит
после бури солнце!
Его волшебный луч
всё оживляет
И к новой жизни
травку пробуждает.
Как ярко светит
после бури солнце!
It's now or never
Ref. It's now or never,
Come hold me tight
Kiss me my darling,
Be mine tonight
Tomorrow will be too late,
It's now or never
My love won't wait.
Rit. Ma 'n'atu sole
Cchiù bello, oi nè,
'O sole mio
Sta 'nfronte a te!
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te,
Sta 'nfronte a te!
Пр. Я знаю солнце
ещё светлей,
и это солнце
твоих очей,
одна, о дорогая,
одна ты солнышко мое!
1. When I first saw you
With your smile so tender
My heart was captured,
My soul surrendered
I'd spend a lifetime
Waiting for the right time
Now that you’r near
The time is here at last.
2. Luceno 'e llastre
d' 'a fenesta toja,
'Na lavannara
canta e se ne vanta
E pe' tramente
torce, spanne e
canta,
Luceno 'e llastre
d' 'a fenesta toja.
Rit. Ma 'n'atu sole
Cchiù bello, oje nè,
'O sole mio
Sta 'nfronte a te!
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te,
Sta 'nfronte a te!
2. Как дивно светит
солнце в час заката,
лучами алыми
мир озаряя,
привет прощальный
шлёт,
нас покидая.
Как дивно светит
солнце в час заката!
Пр. Я знаю солнце
ещё светлей,
и это солнце
твоих очей,
одна, о дорогая,
одна ты солнышко мое!
Ref. It's now or never,
Come hold me tight
Kiss me my darling,
Be mine tonight
Tomorrow will be too late,
It's now or never
My love won't wait.
3. Quanno fa notte
e 'o sole se ne
scenne,
Mme vene quase
'na malincunia;
Sott' 'a fenesta
toja restarria
Quanno fa notte
e 'o sole se ne
scenne.
Rit. Ma 'n'atu sole
Cchiù bello, oje nè,
'O sole mio
Sta 'nfronte a te!
2. Just like a willow,
We would cry an ocean
If we lost true love
And sweet devotion
Your lips excite me,
Let your arms invite me
For who knows when
We'll meet again this way
Ref. It's now or never,
Come hold me tight
Kiss me my darling,
Be mine tonight
Tomorrow will be too late,
It's now or never
My love won't wait.
55
'O sole, 'o sole mio
Sta 'nfronte a te,
Sta 'nfronte a te!
2.2.3. Torna a Surriento – Вернись в Сорренто – Surrender
Questa canzone ha una storia interessante, ed è un esempio ideale per
mostrare come un fattore extralinguistico, storico in questo caso, può influenzare
il testo e di conseguenza la traduzione. All’inizio può sembrare una canzone
d’amore vera e propria, ma non è così, ovvero la canzone era stata dedicata ad
una ragazza, ma il testo poi è stato cambiato e proprio questa nuova versione è
diventata famosa in tutto il mondo. Il Sindaco Guglielmo Tramontano ha chiesto
ai fratelli de Curtis, Giambattista e Ernesto, di preparare una canzone in onore
del Presidente del Consiglio, signore Zanardelli, che aveva programmato la sua
visita a Sorrento per il 15 settembre 1902. In questa occasione è stata adattata
una versione di «Torna a Surriento» che già esisteva (dal 1894) ma non si
cantava quasi mai. Da quel 15 Settembre 1902 la canzone, rimasta nel testo e
nella musica di quel giorno, non ebbe più vita fino al 1904, allorché la Casa
Musicale Bideri la presentò al pubblico9. Dal 1904 Torna a Surriento ha fatto il
giro del mondo ed è stata eseguita dai più grandi cantanti italiani e stranieri:
Enrico Caruso la cantò a Doroty quando le dichiarò il suo amore, Beniamino
Gigli la teneva costantemente nel suo repertorio (specie nelle tournée nelle quali
il suo partner fisso al piano era proprio Ernesto De Curtis, autore della musica),
Tito Schipa ne è stato un grande diffusore, Giuseppe Di Stefano ha dichiarato di
averla fra le sue preferite, Luciano Pavarotti l'ha cantata anche nella "Notte delle
Stelle" del 1982 e con Placido Domingo e José Carreras in diverse occasioni
internazionali, Andrea Bocelli è l'ultimo grande della lirica italiana (in ordine di
tempo) a mantenerla nel suo repertorio.
9
http://www.comune.sorrento.na.it/pagina859_torna-a-surriento.html
56
Nell’unione Sovietica la versione russa è stata molto popolare nelle
interpretazioni si S. Lemešev e M. Aleksandrovič. La traduzione appartiene ad
Emilia Aleksandrova, una traduttrice e scrittrice per i bambini.
Questa canzone è stata eseguita in lingua russa quest’anno durante la terza
edizione di competizione canora «Golos. Deti» da uno dei bambini, Marsel’
Sabirov.
La forma di questa traduzione corrisponde completamente alla forma
originale, vi sono due strofe e due ritornelli. Anche la musicalità dei versi russi,
la fonetica si intreccia benissimo con la musica, si nota subito che cantare questa
canzone in russo per i vocalisti è comodo e piacevole.
La prima frase della prima strofa è tradotta con i concetti molto vicini:
«mare» – «даль морская», «spira tanta sentimento» – «влечет»; «сверкая» è
stato aggiunto dal traduttore per completare l’immagine della superficie del
mare. I concetti della frase seguente (che in italiano significa «come tu che a chi
guardi da sveglio lo fai sognare») sono stati rielaborati: «tiene mente» in «взор
твой голубой» e «faje sunnà scetato» in «нежить и ласкать сердце». Dopo
incontriamo un fenomeno diffuso e tipico della lingua napoletana – la caduta di
un’intera sillaba: «guà», «sié», gli esempi simili sono numerosi anche nelle altre
canzoni, per esempio, con i nomi – «Carulì», «Carmè». Il traduttore non ha
trasmesso questa particolarità, e ha anche unito i «ciardini» con i «sciure
‘arancio», ottenendo «апельсинные рощи» e ha omesso il primo verbo. Per
tradurre «sentire» il traduttore ha deciso di attivare un altro significato del verbo,
legato alla percezione dei suoni, non degli odori, e ha aggiunto «звуки трелей
соловьиных», un concetto che non esiste in originale. Per tradurre un verbo
tronco oppure un verbo normale più tronco, il che aggiunge il sapore dialettale,
un traduttore deve cercare le sostituzioni equivalenti, per esempio, ripetizione
dello stesso verbo in due forme diverse, come «глянь», «взгляни». Poi il
traduttore riprende il concetto dei fiori e cambia l’ultima frase rispetto
57
all’originale: «вся в цветах благоухая» «расцвела земля вокруг», mentre in
originale si contitua di parlare del profumo dei fiori d’arancio che hanno «nu
prufumo accussì fino» che «dint' 'o core se ne va».
Il primo ritornello e’ interpretato in russo come un’esclamazione rivolta
ad una donna amata che parte – «дорогая», «мой друг», «любовь моя», anche
se non e’ esplicitato in originale. Sicuramente, la frase «t'alluntane da stu core»,
cioe’ «dal mio cuore» rassicura il traduttore che si tratta delle sofferenze di un
innamorato. La domanda «tiene 'o core 'e nun turnà?» è rielaborata sulla base
dello stesso concetto in «Неужели навсегда я потерял тебя, мой друг!», e la
frase finale del ritornello «famme campà» diventa «любовь моя» perche’ il
traduttore è sicuro di aver capito bene in genere e il ruolo della canzone.
Non si può accusare il traduttore di una errata comprensione dell’originale
– non conoscendone la storia, chiunque avrebbe l’impressione che è una canzone
d’amore, almeno fino alla seconda strofa. L’inizio della seconda strofa è
dedicato al mare di Sorrento: che tesori cela sul suo fondo, e non ha visto un
mare simile neanche chi ha girato tutto il mondo. La versione russa propone un
altro immagine, ma si può supporre che il color d’argento dell’acqua sotto la
luna, «серебрится», sia un’allusione al concetto «tesoro» nell’originale o in
qualche modo la scelta del traduttore è stata vincolata da esso. La frase seguente
«словно хочет удержать» potrebbe essere una riformulazione di «chi ha girato
tutt' 'o munno, nun ll'ha visto comm'a ccà» sul piano del concetto «partire,
andare via, girare il mondo», visto che la presupposta ragazza di cui è
innamorato il protagonista sta per andare via, ma non c’è bisogno di andare
perché’ il mare di Sorrento è il mare più bello. Poi segue un passaggio che
evidentemente è sembrato al traduttore «fuori luogo» nella canzone d’amore,
perciò il nucleo semantico nella traduzione è stato cambiato completamente:
«Guarda, attuorno, sti Ssirene ca te guardano 'ncantate e te vònno tantu bene, te
vulessero vasà» => «И сады листвой зеленой тянутся к тебе влюбленно,
молит все тебя остаться - каждый взгляд и каждый звук», anche se si può
58
notare un certo legame tra «te vulessero vasà» e «тянутся к тебе влюбленно».
Questo passaggio suggerisce che la canzone è stata ideata non per una donna, ma
piuttosto per un uomo.
Valutazione: Nella maggior parte dei casi il nucleo semantico è unico tra
l’originale e la traduzione, ma trovano le espressioni assai diverse. A volte
vengono introdotti i concetti completamente nuovi, che, però, contribuiscono
nella ricca e pittoresca descrizione della realtà dell’originale. I cambiamenti
evidenziati hanno funzione solo di servire di trasmettere lo spirito e la bellezza
d’originale.
La versione inglese risale al 1961 ed è stata interpretata da Elvis.
Ultimamente è riemersa grazie al gruppo musicale Il Volo, e durante i loro
concerti in Italia, negli Stati Uniti e in altri paesi viene accettata con un grande
entusiasmo.
Questa versione è un remake. Ha una forma diversa dall’originale, ma
siccome la melodia è stata conservata, la metrica coincide con l’originale. Una
particolarità interessante è la somiglianza fonetica tra «Surrender» e «Surriento»,
sicuramente non è una coincidenza ma una decisione consapevole. Però con
l’omissione del luogo fisico dove è ambientata la storia originale spariscono
anche tutti i dettagli più piccoli. L’unica corrispondenza sul piano del contenuto
tra l’originale e questa versione è il tentativo del protagonista di fare la persona a
cui si rivolge cambiare l’idea: tornare a Sorrento o arrendersi all’amore.
Trattandosi di un remake, la versione non deve soddisfare le esigenze di
equivalenza e adeguatezza, di cercare trasmettere il carattere e le emozioni
dell’originale. Questa versione, come la versione precedente, anch’essa
appartenente a Elvis, è chiamata a svolgere un ruolo completamente diverso in
un ambiente culturale diverso, però entra nel flusso della fama mondiale della
canzone napoletana, lo rafforza e ci importa’ la vita e la diversità.
59
Torna a Surriento
1. Vide 'o mare quant'è
bello,
spira tanta sentimento.
Comme tu, a chi tiene
mente,
ca, scetato, 'o faje sunnà.
Вернись в Сорренто
1. Как прекрасна даль
морская,
Как влечет она,
сверкая,
Сердце нежа и лаская,
Словно взор твой
голубой.
Guarda, guà, chisti
ciardine,
siente, sié, sti sciure
'arancio,
nu prufumo accussì fino
dint' 'o core se ne va.
Слышишь, в рощах
апельсинных
Звуки трелей
соловьиных?
Вся в цветах благоухая,
Расцвела земля вокруг.
Rit. E tu dice: "Io
parto,addio".
T'alluntane da stu core.
Da la terra de ll'ammore,
tiene 'o core 'e nun turnà?
Пр. Но ты едешь,
дорогая,
Даль зовет тебя иная...
Неужели навсегда я
Потерял тебя, мой
друг!
Ma nun mme lassà,
nun darme stu turmiento.
Torna a Surriento,
famme campà.
Не оставь меня,
Тебя я умоляю!
Вернись в Сорренто,
Любовь моя!
2. Vide 'o mare de
Surriento,
che tesore tene 'nfunno.
Chi ha girato tutt' 'o
munno,
nun ll'ha visto comm'a ccà.
2. Видишь, море, как
живое,
Серебрится под луною,
Льнет к ногам твоим
волною,
Словно хочет
удержать.
И сады листвой зеленой
Тянутся к тебе
влюбленно,
Молит все тебя остаться
Каждый взгляд и
Guarda, attuorno, sti
Ssirene
ca te guardano 'ncantate
e te vònno tantu bene,
te vulessero vasà.
Surrender
When we kiss my
heart's on fire
Burning with a
strange desire
And I know, each
time I kiss you
That your heart's on
fire too
So, my darling, please
surrender
All your love’s so
warm and tender
Let me hold you in
my arms, dear
While the moon
shines bright above
All the stars will tell
the story
Of our love and all
its’ glory
Let us take this night
of magic
And make it a night of
love
Won't you please
surrender to me
Your lips, your arms,
your heart, dear
Be mine forever
Be mine tonight
60
Rit. E tu dice: "Io parto,
addio".
T'alluntane da stu core.
Da la terra de ll'ammore,
tiene 'o core 'e nun turnà?
Ma nun mme lassà,
nun darme stu turmiento.
Torna a Surriento,
famme campà.
каждый звук.
Пр. Но ты едешь,
дорогая,
Даль зовет тебя иная...
Неужели навсегда я
Потерял тебя, мой друг!
Не оставь меня,
Тебя я умоляю!
Вернись в Сорренто,
Любовь моя!
2.2.4. Funiculì, Funiculà – На качелях
A volte i veri capolavori nascono quasi a caso. Così è stato con «Funiculì,
Funiculà»: è la «canzone d'occasione» composta nel 1880 da Giuseppe Turco e
Luigi Denza per celebrare la funicolare che portava sul Vesuvio, inaugurata
proprio quell'anno. Doveva quindi essere solo una canzone promozionale, ma è
diventata un pezzo di storia della musica mondiale di tutti i tempi.
Traduzione in russo è di V. Krylov.
La struttura dell’originale e della traduzione sono identici, entrambe le
canzoni sono composte da tre strofe e tre ritornelli. Già partendo dal titolo
possiamo presumere che sarà una traduzione-«localizzazione»: «funicolare»
diventa «качели». Il gioco di parole, «funiculì, funiculà», che probabilmente è
legato all’andare e tornare continuo della funicolare, non trova l’esplicitazione
equivalente a questo punto. La trama ha due line: una parla della funicolare,
un’altra – d’amore. Nella traduzione tutte e due line in hanno subito delle
profonde trasformazioni.
La prima strofa dell’originale descrive il Vesuvio con il suo fuoco
pericoloso, e il motivo per cui il protagonista sale alla bocca del vulcano è di
evitare i dispetti che gli fa il cuore ingrato della ragazza. La versione russa
trasforma questo paesaggio esotico in uno molto più comune: la forza della
61
natura si manifesta sono in una «pioggia allegra», non nel fuoco del vulcano
onnipotente; i due innamorati, appena finisce la pioggia, si affrettano insieme
all’altalena al vecchio parco, mentre nell’originale la ragazza tortura il cuore del
protagonista e gli fa sempre dei dispetti.
Nel ritornello si vede una maggiore corrispondenza con l’originale:
«’ncoppa» viene espresso tramite «выше к белым облакам», in lingua russa
«белые облака» è una cliché linguistico che aggiunge subito della poesia in ciò
che viene detto. Nella frase seguente «funiculì, funiculà» è espresso con «качели
тут, качели там» tramite la traduzione degli avverbi lì e là.
La seconda strofa invita di salite dalla terra alla montagna, cioè al
vulcano, visto che adesso c’è un passo – la funicolare. Si vedono persino
Francia, Procida e la Spagna, ma il protagonista innamorato vede solo la sua
amata. Nella traduzione abbiamo «сладко сердце замирает … ведь мы
вдвоем». L’originale continua con «tiráte co li ffune, ditto 'nfatto, 'ncielo se va»
- cioè tirati con le corde – e si va verso il cielo come un vento; la traduzione
propone una simile immagine poetica: il protagonista dice che sente apparire
delle ali immense che lo portano verso il cielo così velocemente che i suoi occhi
riescono a distinguere solo il colore blu.
La terza strofa presenta le corrispondenze – sicuramente sono le
corrispondenze volute – tra l’originale e la versione russa: «Se n'è sagliuta … e’
ghiuta, po' è tornata, po' è venuta» e «На миг вверху мы… и снова вниз… и
свод небес всё ближе…». Però queste corrispondenze possono essere definiti
formali, siccome non aiutano a trasmettere il messaggio e il sapore originale. Il
traduttore trasmette un processo fisico che è descritto in originale (il salire e il
scendere) però tramite un oggetto diverso, non quella funicolare del Vesuvio.
Rimane una sensazione che i testi appartengono a due mondi diversi.
62
Funiculì, Funiculà
1. Aissera, Nanninè, mme ne sagliette,
tu saje addó, tu saje addó
Addó 'sto core 'ngrato cchiù dispiette
farme nun pò, farme nun pò.
Addó lo ffuoco coce, ma si fuje,
te lassa stá, Te lassa stá.
E nun te corre appriesso e nun te struje
sulo a guardá, sulo a guardá.
На качелях
1. Весёлый дождик в эту ночь по
крыше
Пошёл плясать, пошёл плясать.
Шумел, звеня, то громко, то
потише,
Нельзя унять, нельзя унять.
Но вот с утра сияет солнце ярко,
Тепло кругом, тепло кругом.
И мы спешим к качелям в старом
парке
С тобой вдвоём, с тобой вдвоём.
Rit. Jammo, jammo, 'ncoppa jammo ja'.
Jammo, jammo, 'ncoppa jammo ja'.
Funiculì, funiculà,
funiculì, funiculà.
'Ncoppa jammo ja',
funiculì, funiculà.
Пр. Выше, выше к белым облакам!
Выше, выше к белым облакам!
Качели тут, качели там!
Качели тут, качели там!
Ты летишь легка,
Со мной всё выше в облака!
2. Nèh jammo, da la terra a la
montagna,
no passo nc'è, no passo nc'è.
Se vede Francia, Pròceta, la Spagna
e io veco a te, e io veco a te.
Tiráte co li ffune, ditto 'nfatto,
'ncielo se va, 'ncielo se va.
Se va comm'a lo viento e, a ll'intrasatto,
gué saglie sá, gué saglie sá.
2. Летят качели, ветер обгоняя,
Весенним днем, весенним днем,
И сладко, сладко сердце замирает, Ведь мы вдвоем, ведь мы
вдвоем…
Растут, растут невиданные крылья,
Какой размах! Какой размах!
Земля, река, деревья, - все
поплыло,
И синь в глазах, и синь в глазах!
Rit. Jammo, jammo, 'ncoppa jammo ja'.
Jammo, jammo, 'ncoppa jammo ja'.
Funiculì, funiculà,
funiculì, funiculà.
'Ncoppa jammo ja',
funiculì, funiculà.
3. Se n'è sagliuta, oje né, se n'è sagliuta,
la capa giá, la capa giá.
E' ghiuta, po' è tornata, po' è venuta,
sta sempe ccá, sta sempe ccá.
La capa vota, vota attuorno, attuorno,
attuorno a te, attuorno a te.
Rit. Выше, выше к белым облакам!
Выше, выше к белым облакам!
Качели тут качели там!
Качели тут, качели там!
Ты летишь легка,
Со мной всё выше в облака!
3. На миг вверху мы словно ждём
чего-то,
И снова вниз, и снова вниз.
И свод небес всё ближе, ближе вот он,
Рукой коснись, рукой коснись.
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Lo core canta sempe no taluorno,
sposammo, oje né',
sposammo, oje né'.
Дрожит над нами дымка голубая,
И даль видна, и даль видна.
В твоих глазах живым огнём сияет
Сама весна, сама весна!
Rit. Jammo, jammo, 'ncoppa jammo ja'.
Jammo, jammo, 'ncoppa jammo ja'.
Funiculì, funiculà,
funiculì, funiculà.
'Ncoppa jammo ja',
funiculì, funiculà.
Пр. Выше, выше к белым облакам!
Выше, выше к белым облакам!
Качели тут качели там!
Качели тут, качели там!
Ты летишь легка,
Со мной всё выше в облака!
2.2.5. Tu, ca nun chiagne – Не плачь
Scritta da Libero Bovio e musicata da Ernesto De Curtis, la canzone fu
presentata per la prima volta nel 1915, durante i primi periodi dell'entrata
dell'Italia nella Prima guerra mondiale. La montagna di cui si parla in questa
canzone è Vesuvio.
Traduzione russa appartiene a B. Abramovič.
La forma della traduzione ripete la forma dell’originale – due strofe e due
ritornelli. Il titolo della versione russa è contrario al titolo originale, per capire se
si tratta di un errore di traduzione o di una scelta traduttiva consapevole bisogna
analizzare tutto il testo.
Nella prima strofa il traduttore ha deciso di omettere la seconda riga
originale per dare più spazio ad una metafora della luna: «luna janca» diventa
«влюбленный месяц», che passa sopra la montagna; «sott' 'a cuperta ('e chesta
luna janca)» riceve un’espressione anche più complessa e ricercata, creando una
bella immagine poetica: «’a cuperta» viene trasformata nello splendore della
luna serve da coperta alla montagna, e, coprendola, la accarezza – «своим
сияньем он её ласкает». Ma il fatto che la montagna viene paragonata ad
64
un’anima non è trasmesso nella traduzione; per questo gli aggettivi «rassignata»
e «stanca» che nell’originale appartengono ad un concetto di un’anima, nella
traduzione si trasformano subiscono una trasformazione grammaticale
(diventano i verbi) e servono per descrivere la montagna.
Nel ritornello originale vediamo la trama seguente: il protagonista,
disperato, dice che una ragazza lo fa piangere, mentre lei non piange; il
protagonista si chiede dove sia questa ragazza stanotte perché vuole vederla
almeno un’altra volta. Da ciò è chiaro, che la ragazza gli sta lontana e non
condivide il suo amore. Nella traduzione il protagonista chiede la ragazza di non
piangere in vano e confessa che pensa sempre solo di lei, il suo discorso è
rassicurante e non disperato come nell’originale. Evidentemente, nella versione
russa l’amore è condiviso, anche se i due amanti non possono stare insieme. In
questa prospettiva sarebbe logico supporre che il titolo sia stato scelto dopo il
lavoro di comprensione e di approfondimento del traduttore, e quindi risulta
adeguato al contenuto della traduzione. Però, la traduzione con i simili
deviazioni non può essere considerata completamente equivalente all’originale.
Nella seconda strofa si manifesta ancora una deviazione sul piano
emozionale tra l’originale e la traduzione: «Tutto dorme, tutto dorme o more» =>
«спят облака, нежно склон ее целуя; все спит спокойно...».
La versione tradotta non corrisponde all’originale sul piano del contenuto,
racconta un’altra storia, insieme a ciò il traduttore usa spesso i nuclei semantici
presenti nell’originale. Questa traduzione non può essere definita equivalente
all’originale.
Tu ca nun chiagne!
1. Comm'è bella 'a muntagna stanotte,
bella accussì, nun ll'aggio vista maje
N'ànema pare, rassignata e stanca,
sott' 'a cuperta 'e chesta luna janca.
Rit. Tu ca nun chiagne e chiàgnere
Не плачь!
1. Как прекрасна гора этой ночью,
словно устала и молча отдыхает;
над ней влюбленный месяц
проплывает,
своим сияньем он ее ласкает...
Пр. Не омрачай печалью глаз
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mme faje,
tu, stanotte, addó staje
Voglio a te.
Voglio a te.
Chist'uocchie te vonno,
n'ata vota, vedé.
2. Comm'è calma 'a muntagna stanotte,
cchiù calma 'e mo, nun ll'aggio vista
maje.
E tutto dorme, tutto dorme o more,
e i' sulo veglio, pecché veglia Ammore.
Rit. Tu ca nun chiagne e chiágnere
mme faje,
tu, stanotte, addó staje?
Voglio a te.
Voglio a te.
Chist'uocchie te vonno,
n'ata vota, vedé.
прекрасных,
слез не надо напрасных.
Я с тобой
быть хочу,
в мечтах постоянно
лишь к тебе я лечу!
2. Как спокойна гора этой ночью,
спят облака, нежно склон ее целуя;
все спит спокойно, лишь я брожу,
тоскуя, не спит любовь и потому не
сплю я.
Пр. Не омрачай печалью глаз
прекрасных,
слез не надо напрасных.
Я с тобой
быть хочу,
в мечтах постоянно
лишь к тебе я лечу!
2.2.6. Voce ‘e notte – Ночная песня
La canzone, musicata da Ernesto De Curtis, è del 1904. I versi erano stati
scritti l’anno precedente dal giovane giornalista Eduardo Nicolardi che volle
esprimere in rima la sua struggente storia d’amore. La sua innamorata infatti, per
volere della famiglia, era andata sposa a soli sedici anni a un uomo ricco e
anziano. Ma presto la ragazza restò vedova e Eduardo potè finalmente sposarla.
L'autore si immagina sotto la finestra della donna, che dorme stretta fra le
braccia di un uomo che non ama, e la prega di fingere di dormire mentre ascolta
la sua «voce 'e notte».
La traduzione russa è di V. Krylov.
La struttura della versione russa è conforme alla versione originale, vi
sono 6 strofe. Nella prima riga leggiamo: «Si 'sta voce te scéta…», il concetto
della voce viene trasformato in un concetto vicino dal punto di vista funzionale
in questa situazione – canzone: «Если песню услышишь…».
Più avanti
66
notiamo un dettaglio interessante: «t'astrigne 'o sposo tujo vicino» mentre nella
traduzione
diventa
«другому
назначила
свиданье».
La
canzone
è
autobiografica, e quindi sappiamo che la ragazza di cui era innamorato l’autore
(anche lei l’amava) è stata costretta di sposare un uomo che non amava; e da
questo punto di vista la soluzione «назначила свиданье» non è una soluzione
migliore perché riduce la tensione della situazione e leggermente cambia la
prospettiva: sembra che la ragazza non voglia più vedere il protagonista e non lo
ami, ed è interessata in un altro uomo.
Nella seconda strofa la frase «'sta voce è 'a mia. È 'a stessa voce 'e quanno
tutt'e duje…» viene riformulata usando il concetto della canzone, «Но это я! …
И песня та, что ты забыть не можешь: её мы пели…». Possiamo quindi
constatare che il titolo della versione russa è un risultato delle trasformazioni
concettuali interne.
La terza strofa è stata riformulata in un modo molto più indiretto rispetto
alle riformulazioni che abbiamo incontrato prima in questa versione. Il contenuto
si conserva solo in linea generale: probabilmente, il concetto di «'o turmiento 'e
nu luntano ammore», dell’amore lontano, è ricreato tramite il fatto che al
protagonista basta sentire il nome della sua amata per sentirsi meno solitario, e
sopravvive solo grazie al pensiero di essere ancora amato da lei: «если только
скажешь - нелюбим я, cчастливых дней не буду знать нигде я».
Nella quarta strofa l’ultima frase è «не помнишь ты, а я забыть не в
силах» che non esiste nell’originale e può sembrare contrastante con la seconda
strofa. Se ci spostiamo alla quarta strofa originale, nell’ultima leggiamo «Si te
vène na smania 'e vulé bene… 'e vase córrere p' 'e vvéne… vàsate a chillo, che
te 'mporta 'e me?». È un passaggio amaro, anche indignato, che rivela i
sentimenti di gelosia del protagonista.
La versione russa risulta di essere molto vicina allo spirito dell’originale.
La maggior parte dei concetti è stata rielaborata in modo da conservare i loro
67
finzioni e qualità principali, e con l’eccezione di alcuni punti, è una traduzione
equivalente.
Voce ‘e notte
1. Si 'sta voce te scéta 'int' 'a nuttata,
mentre t'astrigne 'o sposo tujo vicino,
statte scetata, si vuó stà scetata,
ma fa' vedé ca duorme a suonno chino.
2. Nun ghì vicino ê llastre pe'ffà 'a spia,
pecché nun puó' sbaglià, 'sta voce è 'a
mia.
È 'a stessa voce 'e quanno tutt'e duje,
scurnuse, nce parlávamo cu 'o "vvuje".
3. Si 'sta voce te canta dint' 'o core
chello ca nun te cerco e nun te dico,
tutt' 'o turmiento 'e nu luntano ammore,
tutto ll'ammore 'e nu turmiento antico.
4. Si te vène na smania 'e vulé bene,
na smania 'e vase córrere p' 'e vvéne,
nu fuoco che t'abbrucia comm'a che,
vàsate a chillo, che te 'mporta 'e me?
5. Si 'sta voce, che chiagne 'int' 'a
nuttata,
te sceta 'o sposo, nun avé paura.
Vide ch'è senza nomme 'a serenata,
dille ca dorme e che se rassicura.
6. Dille accussì: "Chi canta 'int'a 'sta via
o sarrà pazzo o more 'e gelusia.
Starrà chiagnenno quacche 'nfamità.
Canta isso sulo, ma che canta a fà?"
Ночная песня
Если песню услышишь ночью
темной,
Когда другому назначила
свиданье,
Скажи ему, что кто-то незнакомый
Тревожит дерзко сонное
молчанье...
Но это я! Ты это знаешь тоже,
И песня та, что ты забыть не
можешь:
Её мы пели, клянусь бездонным
небом,
Когда еще на ты с тобой я не был.
Если только Твое назвать мне имя,
Растают тени и станет все светлее,
Но если только скажешь нелюбим я,
Счастливых дней Не буду знать
нигде я...
Взошла Луна, и каждый миг в
просторе
Лучи сплетает в новые узоры,
И в новом свете проходит то, что
было:
Не помнишь ты, а я забыть не в
силах.
Если ночью услышишь голос
страстный,
Когда другому назначила
свиданье,
Скажи ему, что я пою напрасно,
Что, видно, спутал окна я
случайно...
Скажи, смеясь, что ревностью
пылаю,
Что я влюблен, безумен и
страдаю,
Что виноват я, но тяжко наказанье,
И я пою, чтоб заглушить рыданья.
68
Conclusione
Citando Smirnov A.A., una traduzione può essere definita come equivalente
se ripropone tutte le intenzioni d’autore che si manifestano nell’impatto ideologicoemozionale sul lettore, e se trasmette le immagini mentali, l'identità locale, ecc. che
sono presente nell’opera originale.
Sono state analizzate nove versioni russe e inglesi di sei canzoni classiche
napoletane.
La versione russa di Dicitencello vuje presenta un errore di traduzione che
probabilmente abbia provocato i cambiamenti nella forma della canzone.
Deviazioni, quindi, vi sono poche ma hanno lasciato le tracce evidenti.
Nella versione inglese di Dicitencello vuje la forma non è stata rispettata. Il
contenuto originale è servito piuttosto come il contrappunto, la versione sviluppa
un'altra trama. alcuni elementi sono stati trasmessi, ma è un remake non una
traduzione. La versione, quindi, presenta delle deviazioni molto profondi ed è
probabilmente più caso di parlare di un remake che di una traduzione.
La versione russa di ‘O sole mio presenta delle deviazioni sistematiche verso
alcuni nuclei semantici originali, uno dei componenti della trama originale non è
stato incluso nella traduzione, però il resto è tradotto in un modo abbastanza fedele
all’originale. Il traduttore ha importato alcuni concetti che non esistevano
nell’originale, il che non ha influito l’immagine generale. La forma della versione
russa è diversa.
La versione inglese di ‘O sole mio presenta una totale deviazione del
contenuto e ha un’organizzazione diversa: inizia con il ritornello. In questo caso
non posiamo parlare della traduzione minimamente equivalente ed adeguata, è un
remake.
La versione russa di Torna a Surriento ha la stesa froma che la versione
originale, e quindi l’ordine in cui si sviluppa la trama è molto vicino a quello
originale. Il traduttore ha introdotto alcuni concetti nuovi rispetto all’originale, ma
non hanno comportato delle deviazione sul piano del contenuto, anzi, hanno
contribuito di avvicinare l’espressività della canzone tradotta a quella originale.
La versione inglese di Torna a Surriento ha una forma diversa e presenta la
totale deviazione del contenuto e anche in questo caso non possiamo parlare della
equivalenza ed adeguatezza, è un remake.
La versione russa di Funiculì, Funiculà presenta la struttura uguale
all’originale. Qui ha luogo la deviazione sistematica che ci permette di definire in
questa traduzione la strategia di «localizzazione», cioè della sostituzione dei realia
straniere con quelle più vicine alla realtà della cultura d’arrivo. Questa strategia
porta inevitabilmente alla perdita del colore locale. Vi sono molte corrispondenze
formali, ma questa traduzione non puo’ essere definita equivalente.
Nella versione russa di Tu, can un chiagne vi è una deviazione sistematica
nel ritornello che ha profondamente cambiato il contenuto della canzone tradotta
rispetto al contenuto originale, cambiando, di consequenza, l’umore di tutta l’opera.
La racconta una altra storia, insieme a ciò il traduttore usa spesso i nuclei semantici
presenti nell’originale. Questa traduzione non può essere definita equivalente
all’originale.
La versione russa di Voce ‘e notte rispetta la forma dell’originale e il suo
contenuto. L’umore che trasmette la traduzione è molto allo spirito dell’originale.
La maggior parte dei concetti è stata rielaborata in modo da conservare i loro
finzioni e qualità principali, e con l’eccezione di alcuni punti, è una traduzione
equivalente.
Dopo il confronto dei testi tradotti con i testi originali abbiamo visto che le
versioni inglesi presentano i maggiori deviazioni sul piano del contenuto, fino ad
un punto di perdere ogni legame con l’originale. Le versioni russe presentano un
vasto spettro delle deviazioni, ma solo due non possono essere definiti equivalenti.
Nella maggior parte dei casi analizzati abbiamo visto che i nuclei semantici,
presenti nell’originale, sono presenti e nelle traduzioni, ma a volte trovano le
70
espressioni assai diverse. Le soluzioni migliori erano quelle dove il traduttore
manifestava la creatività artistica insieme al rispetto per il contenuto dell’originale.
Così, lo scopo di questo lavoro è stato realizzato e gli obiettivi sono raggiunti.
71
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73
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http://www.premiovillariccasergiobruni.it/regolamento.htm
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consultazione: 10.05.2016]
Festa del dialetto napoletano
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“La lingua della madre”, Salvatore Palomba
URL: http://www.arrevuoto.org/scritture/la-lingua-della-madre-salvatore-palomba/
[ultima consultazione: 13.05.2016]
74
Appendice
Le canzoni classiche napoletane tradotte in russo:
A prima matina – Утренняя песня
Ammore canta – Песнь весны
Anema e core – Душа и сердце
Bella, si vuo’ l’ammore – Если любви ты хочешь
Canta pe’me! – Пой мне!
Carmela – Кармела
Catari (Core ‘ngrato) – Катари (Жестокое сердце)
Chello che tu me dice – Быть тебе только другом
Comme faccette mammeta – Как создала тебя мама
Dicitencello vuje – Скажите, девушки, подружке вашей
Dorme o mare – Спящее море
È rrose rosse – Красные розы
‘E spigole frangese – Французские булавки
‘E stele e ‘a luna – Звёзды и луна
Fenesta che lucivi – Не светится оконце
Fenesta ‘ntussecosa – Непокорное окошко
Fenesta vaschia – Оконце низко
Funiculi’ funicula – На качелях
I’ te vurria vasa’ – Повесть любви моей; Хочу тебя целовать
Lu cardillo – Щеглёнок
Luna curtese – Добрая луна
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Luna rossa – Багряная луна
Maggio senza rose – Без цветов нет мая
Mamma mia, che vo sape – Море синее играло
Manname ‘nu raggio ‘e sole – Луч солнца
Maria, Mari! – О, Мари!
Mo so’ mbriacato ‘e sole – Я опьянён лучами
Na sera ‘e maggio – В майский вечер
‘Na voce, ‘na chitarra e ‘o poco ‘e luna – Гитара, голос и луна
Napule bello! – Прекрасный Неаполь
Napule e Surriento – Неаполь и Сорренто
Nun me sceta! – Не забывай!
‘O cavalluccio! – Лошадка
‘O ciucciariello – Чуччарелло
‘O marinariello – Морячок
‘O paese d’ ‘o sole – Солнечный край
‘O sole mio! – Моё солнышко
‘O surdato ‘nnamurato – Влюблённый солдат
Oili, oila! – Ойли, ойла!
Passione – Страсть
Pecche’ – Почему
Piscatore ‘e Pusilleco – Золотые слова; Рыбак из Позиллипо
Reginella – Королева
Santa Lucia – Санта Лючия
Scalinatella – Дорога надежды
Suonno ‘e fantasia – Фантастический сон
Tiritomba – Тиритомба
Torna a Surriento – Вернись в Сорренто
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Tu, ca nun chiagne! – Не плачь!
Tutto rosa – Ты словно роза
Voce ‘e notte – Голос в ночи; ночная песня
‘A vucchella – Улыбка
Marechiare – Марекьяре
Le canzoni classiche napoletane tradotte in inglese:
Torna a Surriento – Surrender
Tu vuo’ fa’ l’Americano – You wanna be Americano; Americano; You wanna be
Americano;
‘O sole mio – It’s Now or Never; There’s No Tomorrow
Dicitencello vuje – Just Say I Love Her
Scalinatella – Stairway to the sea
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